Cala il sipario su una delle ultime grandi realtà industriali del Mezzogiorno. Whirlpool il primo novembre chiuderà lo stabilimento napoletano di via Argine. Si è concluso con un nulla di fatto il vertice convocato ieri a Palazzo Chigi dal premier Giuseppe Conte. Neanche lui è riuscito a fare breccia nel muro innalzato dalla multinazionale americana che non vuole continuare a produrre lavatrici a Napoli e non si fida delle garanzie proposte dal governo, tanto da stracciare un accordo firmato neanche un anno fa, con buona pace dei 410 operai impiegati nel sito e degli altri 534 dell’indotto, a cui vanno aggiunti almeno altre 500 persone più o meno collegate con la fabbrica. La scossa tellurica che si è abbattuta su Napoli avrà conseguenze pesanti in tutta la Campania. Colpirà la Passel, specializzata in componenti per elettrodomestici con il 60 per cento di produzione dedicata alla Whirlpool, che impiega 15 operi a Montoro e 45 a Fortino in provincia di Avellino. Stessa storia per la Cellublok con il suo 70 per cento di produzione targato Whirlpool. In una classifica da incubo sta messa peggio la Scame Mediterranea, 100 per 100 di produzione dedicata al colosso americano con 51 persone impiegate nello stabilimento di Sant’Angelo dei Lombardi e 8 distaccate in via Argine con il progetto Genesis. «Dovrebbero produrre oblò, ma sono fermi da luglio» fa sapere la Cgil Campania.
Scenario tragico anche a Carinaro, in quella che era definita “Terra di lavoro”, in provincia di Caserta, ferita da più crisi, dove 380 ex dipendenti Whirlpool attendono di essere ricollocati con una riconversione industriale che ha garantito continuità lavorativa solo a una manciata di loro. Quando da Roma, prima il ministro dello Sviluppo economico, Stefano Patuanelli, e poi Conte hanno spiegato che il faccia a faccia con i vertici Whirlpool non era andato come si sperava, gli operai che presidiano giorno e notte la fabbrica di via Argine sono usciti in strada in un corteo spontaneo. Hanno forzato un posto di blocco della polizia e hanno occupato per due ore l’autostrada Napoli-Salerno. «Ci stanno togliendo anche la dignità», hanno urlato. Si sentono traditi da quella azienda che chiamavano “Mamma Whirlpool” e che a maggio scorso con una X su una slide ha comunicato loro la decisione di chiudere. «Noi resteremo in fabbrica, ci barricheremo dentro, non ci piegheranno ». Contratti di solidarietà, ricorso agli incentivi e aiuti economici erogati e promessi non hanno salvato lo stabilimento che secondo Whirlpool «opera al di sotto del 30 per cento della capacità della produzione a causa del drastico declino della domanda di lavatrici ad alta gamma ». Numeri bollati come falsi dai lavoratori: «Vogliono spostare la produzione in Polonia perché costa meno. Hanno ucciso un’azienda e la nostra dignità. Noi siamo la prima fabbrica colpita, ma adesso anche le altre sono a rischio».
Whirlpool aveva proposto l’idea di procedere a una riconversione industriale con cessione del ramo di azienda alla società Prs di Lugano che avrebbe utilizzato lo stabilimento per produrre frigo-container. Ipotesi bocciata dai sindacati «è un pacco » e dal governo: «No alla riconversione, bisogna rispettare l’accordo di ottobre». Mesi di trattativa e due governi diversi non hanno prodotto alcun risultato. E così ieri la società in una nota ha sbattuto la porta in faccia al governo italiano: «Vista l’impossibilità di una discussione sul merito del progetto di riconversione e i mesi di incontri che non hanno portato ad alcun progresso nella negoziazione, l’azienda, come comunicato durante la riunione a Palazzo Chigi, si trova costretta a procedere alla cessazione dell’attività produttiva, con decorrenza 1 novembre 2019». È la sentenza di morte di un’azienda. Di quella “Mamma Whirlpool” che ha dato lavoro a generazioni diverse di operai in catena di montaggio. «La disponibilità confermata oggi dal governo e quella inclusa nel decreto per la risoluzione delle crisi aziendali — aggiunge la società — sono misure non risolutive e che non possono incidere sulla profittabilità del sito di Napoli nel lungo periodo».