«Eh sì, il carbone ha battuto il mio ghiaccio». Peter Wadhams lo ha studiato per quasi cinquant’anni. Se ne innamorò nel 1969 quando, appena laureato, si imbarcò su una nave oceanografica che avrebbe circumnavigato le Americhe: «Sfiorammo l’Antartide e attraversammo a fatica il Passaggio a Nordovest. Fu lì che mi appassionai al ghiaccio marino». All’epoca Wadhams, che ha diretto lo Scott Polar Research Institute di Cambridge dall’87 al ‘92, non avrebbe mai immaginato di dover raccontare la fine del ghiaccio causata dall’uso di combustibili fossili. «Avevamo pochi dati e sapevamo molto poco di ciò che stava accadendo alle calotte polari. Ma già nel 1987 un mio studio dimostrava che lo spessore del ghiaccio artico si era assottigliato del 15% rispetto al 1976».
Professor Wadhams, nel suo libro “Addio ai ghiacci” (Bollati Boringhieri) lei prevede che presto la calotta artica si scioglierà completamente, almeno d’estate. Quando accadrà?
«Non è possibile fare una previsione precisa, perché c’è una grande variabilità delle condizioni meteorologiche di anno in anno. Ma la tendenza alla riduzione del ghiaccio è così forte che non lascia alcun dubbio sull’esito finale: il Polo Nord si scioglierà completamente, è solo questione di tempo».
Anche i ghiacciai delle montagne si stanno sciogliendo. Troveremo il ghiaccio solo nei nostri frigoriferi?
«Purtroppo non è una battuta, ma una possibilità reale. Che avrà consegue drammatiche sull’innalzamento dei mari. L’acqua dolce conservata sotto forma di ghiaccio sulle montagne, in Groenlandia e in Antartide si sta già riversando negli oceani e il loro livello potrebbe crescere addirittura di un metro entro la fine di questo secolo».
Ma perché è così importante che non si sciolga il ghiaccio dell’Artico?
«La scomparsa della calotta polare avrà molte conseguenze. La prima è che senza il ghiaccio artico sarà molta meno la luce solare riflessa verso lo spazio, quindi la Terra si scalderà ancora di più. Un altro effetto si avrà sui fondali dell’Oceano Artico: ora sono fatti di permafrost e intrappolano grandi quantità di metano. Senza il ghiaccio marino a fare da coperta, il permafrost si scioglierà e liberà il metano, che è un gas serra 23 volte più potente dell’anidride carbonica».
Se la scienza ha dimostrato tutto questo, perché la politica continua a non decidere? Anche il vertice di Bonn si è chiuso senza veri provvedimenti.
«Sì è stato deludente. Ma il vero disastro è l’abbandono degli accordi di Parigi da parte dell’Amministrazione Trump. Una decisione tremenda e imperdonabile, ai limiti della stupidità. Più in generale, i politici sono abituati ad affrontare le emergenze su tempi commisurati al loro mandato elettorale. I cambiamenti climatici danno l’impressione di essere lenti e di poter essere affrontati da qualcuno che verrà dopo. Ma non è così e si deve agire subito».
Ecco, immaginiamo che Donald Trump legga il suo libro e cambi idea. La convoca alla Casa Bianca e le chiede di essere il suo consulente per fermare il riscaldamento globale. Lei cosa gli consiglia?
«Dubito che Trump legga libri. Se tuttavia dovesse accadere, gli spiegherei che vanno tagliate le emissioni di gas serra secondo gli accordi di Parigi. Ma non basta, va riassorbita e immagazzinata sotto terra anche parte della CO2 che abbiamo prodotto in questi decenni. Il riscaldamento globale è la principale minaccia per l’umanità: ci vorrebbe una sorta di Progetto Manhattan, come quello che gli Usa misero in piedi per costruire l’atomica contro Hitler».
Professor Wadhams, ha dedicato una vita allo studio del ghiaccio polare. Che effetto le fa sapere che sta per scomparire?
«In questi cinquant’anni è cambiato sotto miei occhi: il suo spessore è passato da molte decine a poco più di un metro. L’ho sempre immaginato come un ponte tra il Nord America e l’Eurasia. Presto crollerà e i due continenti saranno un po’ più lontani».
*La Repubblica, 19 novembre 2017