Panoramica dell’economia italiana attraverso i dati cumulativi di 2075 imprese italiane di dimensioni medio-grandi censite dall’ufficio studi Mediobanca (tutte quelle con più di 500 dipendenti e il 20% di quelle che occupano da 50 a 499 addetti). Ne esce una rappresentazione significativa perché ricomprende il 50% del fatturato industriale nazionale, il 50% della manifattura, il 37% dei trasporti e il 41% della grande distribuzione. Un quadro brillante per quanto riguarda l’industria medio-grande, migliore di quanto si possa desumere a livello macro dall’andamento del Pil, tanto più – rilevano gli autori del rapporto – che la crescita è stata accompagnata da una buona solidità finanziaria d’insieme e investimenti in aumento in un contesto di fiscalità più leggera. Un ottimo 2017, dunque, che segna il secondo tentativo di “resurrezione” per l’economia italiana dalla crisi partita nel 2008. Rallentamento del commercio mondiale, rialzo dei tassi ed eventuale instabilità politica potrebbero però frustrare le aspettative per il prosieguo. Il destino delle attività ex gruppo Fiat potrebbe essere il quarto fattore di incertezza, considerato che quello che è rimasto in Italia pesa ancora molto sulla manifattura nazionale: oltre 80mila occupati, 6,4 miliardi di valore aggiunto, 15 miliardi di investimenti lordi (e 10 netti) nell’ultimo decennio, oltre 45 miliardi di acquisti di semilavorati/materie prime, pari a circa i tre quarti dei ricavi della componentistica per veicoli italiana.
Dunque, nel complesso le 2075 principali imprese italiane hanno aumentato i ricavi del 5,8% nel 2017, primo anno di crescita dopo quattro anni di flessione. È cresciuto l’estero (+7,1%), ma anche il mercato domestico (+5,2%) che da cinque anni era in arretramento. Il fatturato aggregato è quasi tornato ai livelli del 2008 (-0,6%), ma la dinamica tra vendite interne e vendite estere è molto differente: sotto del 10,4% rispetto ai livelli-pre crisi le prime, sopra del 25,2% le seconde.
Qualche area è rimasta ancora al palo. Preoccupante in particolare l’involuzione del settore delle grandi opere, con il fermo dei cantieri: i ricavi le imprese di costruzioni sono scesi del 3,5% nel 2017. Ma anche l’editoria non riesce a riprendersi, avendo infilato nove anni ininterrotti di calo delle vendite dal 2009: -3,3% anche lo scorso anno. Le tlc, almeno, nell’ultimo biennio hanno m0ostrato segnali di risveglio, seppure ancora timidi, con un +1,6% nel 2017.
L’anno prima, nel 2016, erano 11 i settori in regresso. Nel 2017, invece – a parte poche eccezioni – la ripresa è stata corale, interessando sia le imprese pubbliche – cresciute del 6,7% dopo quattro anni a passo di gambero – sia quelle private, che hanno aumentato ancora il giro d’affari del 5,6% venendo però dai tre anni precedenti di crescita. In ripresa anche le aziende a controllo estero: +4% dopo cinque anni in calo. Nel 2017 l’industria è cresciuta del 6,6%, il terziario del 3,2% e la manifattura del 6,1%. I settori più dinamici sono stati il metallurgico (+17,9%), il petrolifero (+11,4%), il cartario (+9,2%), pelli e cuoio (+9%), l’impiantistica (+8,7%), mezzi di trasporto (+7,2%), trasporti (+7,1%), gomma e ricavi (+6,9%), chimico (+6,8%) e energetico (+6,2%).
Se si alza lo sguardo agli ultimi dieci anni, a crescere di più sono stati i comparti pelli e cuoio (+52,5%); utilities locali, aeroporti e autostrade (+33,2%), mezzi di trasporto (+29,9%, +9,9% senza considerare l’area Fiat). Per contro l’editoria è sotto del 42,1% rispetto ai livelli del 2008, in ridimensionamento insieme con i comparti dei prodotti per l’edilizia (-36,5%), il petrolifero (-35,6%), l’impiantistica (-23,5%) e le tlc (-22,7%).
La redditività pre-crisi tuttavia è ancora una meta. I margini industriali netti dell’aggregato sono infatti inferiori dell’11,6% rispetto a quelli del 2008, con il terziario sotto addirittura del -32,4%. Solo la manifattura si è ripresa alla grande: +26,5% i margini rispetto al 2008, con una performance dell’80,8% delle grandi imprese che si ridimensionerebbe a un pur sempre eccellente +48,6% senza considerare le attività ex gruppo Fiat in Italia.
Inferiori (del 3,7%) anche i livelli occupazionali sul 2008. In compenso la solidità finanziaria è al top del decennio, con il 73,3% delle imprese considerate che merita l’investment grade. Buone notizie anche dal fronte degli investimenti, in aumento del 6,4% sulla media del quadriennio precedente, con la manifattura a far da traino a +14,6%. Dal 2013 gli investimenti nell’industria sono cresciuti del 27,5% e questo ha permesso un recupero di competitività del 12,7%. Infine, da segnalare che il tax rate è sceso nel 2017 al 20,8% rispetto al 28,3% di cinque anni prima.
Uno sguardo, per concludere, al drappello considerato delle 557 imprese estere operanti in Italia che, con 221 miliardi, rappresentano un terzo del fatturato dell’aggregato. Francia (60,1 miliardi di giro d’affari), Usa (38,8 miliardi), Germania (26,5), Uk (21) e Svizzera (12,2) sono i principali Paesi d’origine. Nel 2017 hanno investito in Italia 10,9 miliardi (contro i 18,5 miliardi delle aziende italiane), pagano stipendi più alti del 10% e hanno una produttività superiore del 12,5%. Meglio tenersele buone.