Al centesimo messaggino, il senso di Beppe Sala per il bon ton istituzionale è andato in conflitto con il senso di Beppe Sala per l’opportunità politica. E il sindaco di Milano s’è smarcato dall’idea di “serrata totale” di una metropoli che, se si ferma, è in qualche modo perduta nella sua identità. Già martedì, nel rinviare l’importante e redditizio appuntamento del Salone del Mobile a giugno, Sala aveva spiegato la necessità di «sconfiggere il coronavirus, ma anche il virus della sfiducia». Ieri il suo rilancio è stato a tutto campo: «Mi sono messo a telefono con Roma, ho parlato con il Presidente del Consiglio, l’ho invitato a venire presto a Milano per rendersi conto di persona della nostra situazione ». In queste telefonate, pur non essendoci alcuna conferma ufficiale, è certo che Giuseppe Conte abbia assicurato il sindaco sul suo desiderio di una seria trasferta in Lombardia, per andare in giro ovunque serva, raccogliere le richieste delle varie categorie sociali e “provvedere”.
«Milano a luci spente non piace nessuno, che sia una città riaperta al più presto», dice Sala e non c’è solo lui in questa prospettiva di rinascita nel rispetto della sanità pubblica. Si stanno facendo i conti tra realtà e psicosi: il vero problema (in prospettiva) riguarda i posti nelle rianimazioni, dov’è necessario curare chi peggiora, non il tasso di mortalità o la quantità di tamponi positivi. Infatti, «Ci sono finalmente le condizioni per chiedere al Governo un graduale ritorno alla normalità », dice il presidente della Regione Piemonte, Alberto Cirio, che oggi alle 18 incontra i presidenti delle Province, i sindaci dei capoluoghi e i prefetti. E per il rieletto presidente della Regione Emilia-Romagna, Stefano Bonaccini, l’emergenza sanitaria legata non può trasformarsi, sostiene, in un disastro per la tenuta economica. S’è rivolto, come Sala, a Conte. Nei suoi desideri ci sono aiuti alle imprese in genere e «per tutti gli operatori del pubblico spettacolo, non è immaginabile che l’onere economico del provvedimento del governo ricada solo su di loro».
C’è un altro Nord, insomma, che guarda oltre gli “agenti virali”. E Sala, primo cittadino della città-locomotiva, ieri «dopo aver lavorato alla riprogrammazione del calendario degli eventi, che qui sono cruciali per molte attività e per il turismo », non ha chiamato soltanto il presidente del Consiglio, ma altri due membri del governo. Il ministro dell’Economia e delle Finanze Roberto Gualtieri, al quale «ho chiesto – dice – un supporto e gli ho detto che un aiuto a Milano è un buon investimento». E s’è sentito con il ministro dei Beni e delle Attività culturali Dario Franceschini, habitué di Milano e della Scala, con il quale s’è capito al volo: «Ripartiamo dalla cultura, riapriamo qualcosa, che siano i musei, o altro, ma la cultura è vita».
Per Sala il tema delle difficoltà economiche non riguarda nell’immediato la finanza e la grande industria, «ma ci sono persone che se non lavorano non arrivano a fine mese ed è a queste che deve pensare il sindaco di una città, se la vuole solida, attiva e internazionale com’è la nostra». Da quando c’è stata l’emergenza, Sala aveva detto che era opportuno «limitare la socialità » e non aveva mai preso pubblicamente le distanze dalla Sanità regionale e dal presidente della Lombardia Attilio Fontana, che ha in mano il boccino delle strategie insieme con la Protezione civile e il ministero della Salute. E se n’era rimasto silente nello scontro Conte- Fontana. Che dietro le quinte dicesse ai suoi che «così non si può reggere» non era però un segreto. E s’è dato da fare. Il prossimo lunedì, quindi, può segnare la fine del «mondo sospeso », così inconsueto a Milano.