Nella buvette del Senato si fronteggiano, tra il serio e il faceto, la dissidente storica Elena Fattori e il governista Andrea Cioffi. La prima ha firmato il documento dei 70 e chiede chiarezza: «Rousseau? Ma se non sappiamo neanche chi vota. Quando mai c’è stata democrazia tra noi?». Cioffi risponde, beffardo: «Se sai i nomi dei votanti, si formano le cordate. Vuoi legalizzare il malaffare? Vuoi tornare ai partiti? Vuoi il Pdup? Io sono un grillino storico, ti ricordi la canzone? Uno vale uno». Fattori: «Quando mio figlio canta quella canzone, lo prendo a sberle». Il clima è questo dentro il Movimento, si è passati dall’«uno vale uno» al «tutti contro tutti». L’assemblea di martedì è stato uno sfogatoio come e più di altre, ma in questo caso ha segnato un punto di non ritorno: la messa in discussione della leadership di Luigi Di Maio.
È vero, come sostiene il capo politico, che il documento dei 70 non era direttamente rivolto a lui. Chiedeva semplicemente di convocare un’assemblea con all’ordine del giorno la modifica del regolamento. Un primo timido passo verso la difficile democratizzazione di un movimento nato con una presunta democrazia dal basso e una forte oligarchia dall’alto. Ma il vero problema per Di Maio non è il documento, è il malessere che coinvolge molti big della prima ora, compagni di avventura nel governo con la Lega e poi brutalmente scaricati. Non avendo lenito le ferite, né consolato il loro ego né trovato poltrone alternative, la rabbia e il nervosismo sono alle stelle. Per questo ora Di Maio prova ad accelerare la riorganizzazione e a porsi alla testa della rivolta, per domarla.
Il fronte è talmente variegato che, probabilmente, rientrerà da solo. Anche se non mancano cani sciolti che starebbero contattando altri gruppi. C’è di sicuro una guerra di propaganda, condotta dalla Lega in primis ma anche dai gruppi renziani. Andrea Crippa, vice di Matteo Salvini, spara il numero di venti parlamentari pronti alla transumanza direzione Lega. Altre voci più prudenti parlano, invece di cinque deputati pronti a traslocare, mentre al Senato per ora trasloca una sola senatrice: si tratta di Gelsomina Vono, senatrice calabrese, che ha deciso di uscire in direzione dei renziani per aderire a Italia viva. La senatrice di Catanzaro era data come possibile sottosegretario ma la nomina è sfumata. E, con lei, altri eletti nell’uninominale sarebbero tentati di lasciare.
Ma sono voci, ipotesi che si rincorrono, decisioni che vertono su situazioni personali più che correnti organizzate e gruppi di potere pronti a spostarsi. Per provare a vedere se l’incendio Di Maio invita i suoi a «registrare le conversazioni, se qualcuno viene a fare delle avances». Per capire se l’incendio si spegnerà, bisognerà attendere l’elezione del nuovo capogruppo in Senato (possibile Danilo Toninelli) e i dieci «facilitatori», che si andranno ad affiancare ai referenti regionali, in quella riorganizzazione lanciata a febbraio e poi impantanata.