«Non c’è nulla nella vita che dia senza chiedere qualcosa in cambio e dovremmo ragionare su quali siano le conseguenze di una tecnologia sempre più invasiva». A dirlo è il professor Vito Mancuso, docente e teologo, ospite giovedì 17 maggio alle 11.30 al Teatro Verdi a Padova per l’apertura del Galileo Festival con un intervento dal titolo “Umano Post Umano. Un Dialogo su Dio, Uomo e Tecnologia”. Da Padova, 400 anni fa Galileo Galilei nel suo Sidereus Nuncius sfida la Chiesa introducendo l’idea che la matematica sia il vero linguaggio della natura e della Creazione.
Oggi la matematica è il linguaggio di base di una rivoluzione scientifica e tecnologica i cui contorni ancora fatichiamo a comprendere. Cosa ne pensa?
«La radice del termine “matematica” in greco antico è la stessa di apprendere, una proprietà connaturata alla mente umana. Il punto è che gli esseri umani tendono a diventare prigionieri delle creazioni della propria mente: è successo e succede con le religioni, quando si sviluppa il fanatismo. Può succedere con la matematica, se diventassimo prigionieri del logaritmo».
In che senso?
«Io credo che la vita umana risponda a due domande in perenne interazione tra loro: la prima è relativa a un’idea di appartenenza a una comunità, a un sistema. L’altra invece a una rivendicazione di indipendenza, di libertà, di autonomia. Una dialettica tra “Logos”, ordine, e “Caos” che è errore, scarto, discontinuità. Il frutto di questa dialettica è l’uomo, la creatività e la bellezza, lo stesso progresso che ci ha portato a queste vette».
Vette tecnologiche che ci aiutano a vivere meglio.
«Non ho paura del progresso né propongo la distruzione delle macchine ma mi rendo conto che da ragazzino i numeri di telefono dei miei amici li ricordavo a memoria, ora è tanto se so quello di mia moglie e dei miei figli. Riuscivo a orientarmi in città straniere chiedendo qualche informazione, ora senza navigatore non so dove andare. Nella vita nulla dà senza prendere e le tecnologie fanno lo stesso».
Crede sia possibile che le macchine riescano a impadronirsi di aree di azione umane?
«Ci troviamo a un bivio un po’ come un apprendista stregone che suscita forze di cui poi rischia di diventare prigioniero. Alcune statistiche sostengono che negli Usa nei prossimi anni il 47% dei lavori attuali verrà svolto da macchine. Non so se anche i mestieri dello scrittore e del musicista, del medico e dell’avvocato, del commesso verranno meno, ma sono convinto che senza una dimensione umana non ci sarà spazio e neppure per la creatività e la bellezza. Continuo a pensare che le macchine seguano la via del Logos e cioè dell’ordine, dove tutti i passaggi hanno un concatenazione precisa e non c’è spazio per l’errore, lo scarto, la discontinuità che vengono dal Caos. Ma se togliamo il Caos togliamo la sorgente stessa della creatività, del sogno, della fantasia, dell’irrazionale e dell’inconscio. Tutto potrà essere logico e ordinato ma verrà meno la libertà e quella bellezza che, diceva Dostoevskij, salverà il mondo».
*Il Mattino di Padova, 13 maggio 2018