Sono trascorsi 25 anni dall’approvazione della legge sull’elezione diretta dei sindaci.
Principale ragione della personalizzazione politica in Italia, accelerata, l’anno seguente, dalla discesa in campo del Cavaliere. Ebbene, 25 anni dopo le elezioni amministrative continuano a offrire uno specchio ai cambiamenti politici in corso. Nel rapporto sempre più instabile fra società, politica e territorio. Questi mutamenti ribadiscono una tendenza evidente ormai da tempo. La rarefazione del Centro-sinistra. In alcune zone (nel Nord Est): la scomparsa. Il Centro-sinistra, se consideriamo i Comuni maggiori (oltre 15 mila abitanti), prima di queste elezioni, governava 57 amministrazioni (su 109). Oggi 25.
Meno della metà. Superato nettamente dal Centro-destra, che prima ne amministrava 20, oggi 36 — come coalizione. Senza considerare che la Lega, da sola, governa in altre 2. Occorre aggiungere, infine, che nell’arena amministrativa, confluiscono numerose liste “civiche”. Talora espresse da esperienze e leader “locali”. Talora ispirate dagli stessi partiti nazionali. In questa occasione, si sono affermate in 38 Comuni (maggiori). Soprattutto nel Mezzogiorno.
Questi dati sottolineano quel che era già chiaro, dopo il primo turno: l’avanzata del Centro-destra Lega-forzista.
Mentre il M5s conferma i suoi limiti, su base locale. È un soggetto che amplifica il malessere politico dei cittadini soprattutto in ambito nazionale.
Ma non ha ancora messo radici. E fatica a proporre un’offerta politica convincente, sul territorio. Perché non dispone di leader e di militanti conosciuti e “attraenti”. Almeno, per ora.
Queste tendenze, peraltro annunciate dalle elezioni politiche del 4 marzo, alle consultazioni amministrative di domenica scorsa sono divenute evidenti. Esplicite. La “zona rossa”, definita dalle regioni del Centro Nord: non c’è più. Il Paese della Sinistra e la Sinistra dei paesi: hanno perso colore e fondamenti. Dei 12 comuni maggiori dove il Centro-sinistra era al governo — oggi ne rimangono 5. Di questi, un solo capoluogo di Regione: Ancona. In Emilia Romagna, in Toscana, in Umbria: ha perso in tutti i capoluoghi. Massa, Pisa, Siena, Terni. La terra di “Centronia”,come l’ha definita Giuseppe De Rita, oggi non c’è più. Si è confusa in mezzo a un Paese che non presenta più una mappa dai confini e dai colori distinti, ma si è tinto, prevalentemente, di azzurro. Meglio: di blu. Perché la coalizione Lega-forzista si è imposta un po’ dovunque. Da Nord a Sud, passando (appunto) per il Centro. La differenza, in questo caso, l’ha fatta la Lega.
Che ha sfruttato un clima d’opinione pervaso dall’insicurezza. Un sentimento animato dal ri-sentimento. Verso “gli altri”. D’altronde, per settimane abbiamo (in)seguito il viaggio dei disperati imbarcati sull’Aquarius. Quasi fosse l’avanguardia di un’invasione barbarica di proporzioni bibliche. E da settimane, anzi, da mesi, l’unica figura, l’unico leader capace di occupare la scena mediatica è Matteo Salvini.
L’unico in grado di suscitare reazioni ed emozioni. Non importa di che segno. Così siamo diventati tutti leghisti. Oppure anti-leghisti. Schierati. Pro o contro Salvini. E ciò significa che oggi il leghismo, la Lega, e il suo Capo determinano l’unica vera frattura politica che attraversa la società. Che scava sul territorio. Il Centro-sinistra, se vogliamo cercarne le tracce, presenta una distribuzione del voto sparsa e sperduta. Con una densità maggiore (ma sempre ridotta) nel Nord Ovest e nel Sud. In particolare — come ha osservato Marco Valbruzzi dell’Istituto Cattaneo — nella fascia costiera dell’Adriatico.
La differenza maggiore, rispetto alla mappa geopolitica disegnata dal voto del 4 marzo, è prodotta dallo spazio ridotto del M5s.
Primo partito alle elezioni politiche ma pressoché residuale, comunque “periferico”, in questa consultazione. Come sempre, alle elezioni amministrative. Per le ragioni già spiegate anche in questa analisi. In primo luogo, la limitata presenza sul territorio. I suoi elettori, in questa occasione, si sono nascosti nella zona grigia del non-voto. Oppure, quando il ballottaggio opponeva candidati del Centro-destra e, soprattutto, della Lega a quelli del Centro-sinistra e del Pd, hanno votato per gli alleati di governo.
Per “mimetismo solidale”… Il ruolo della Lega è apparso importante soprattutto nelle zone tradizionalmente di (Centro) Sinistra. Nel Centro Nord. Dove si è consumata la crisi del Pd. Meglio: del PdR. Il Partito di Renzi. La trasformazione del Pd in partito personale ne ha, infatti, accelerato l’erosione. Alla base. Difficile oggi ri-conoscere il Centro-sinistra. Nella società. Nel territorio. Incontrare militanti, luoghi di aggregazione.
“Imbattersi” (non saprei come dire diversamente) in iniziative.
Manifesti. D’altronde, la campagna si svolge, perlopiù, in rete. Ma, per il Pd, ciò significa perdere la propria strada. La propria storia. Significa perdersi… Lasciare spazio ad altri soggetti politici, divenuti visibili nei luoghi presidiati, un tempo, dai partiti di Centro-sinistra.
Quando ancora erano partiti di “massa”. Cioè: partiti… Così è difficile indicare una soluzione alla crisi del Pd e del Centro-sinistra. “Riproporre” il partito che “sta sul territorio”, nei luoghi di vita e di lavoro: è scontato. Quasi banale. E al tempo stesso “improponibile”, visto il cambiamento che ha coinvolto il rapporto fra politica e società, fra partiti e territorio, negli ultimi venticinque anni.
Dopo la discesa in campo del Cavaliere. Ma per i partiti di Centro-sinistra è diverso. La partecipazione è nella loro storia e nella loro identità. Come dimostra la mobilitazione che si osserva ogni volta in occasione delle primarie.
Per questo il Pd, se si riduce a partito “mediale” e “personale”, lontano dalla società e dal territorio, perde (con)senso. E perde alle elezioni. Nazionali.
Tanto più, amministrative.