L’uscita dalla Confindustria delle aziende partecipate, minacciata da tempo da ambienti del governo in risposta alla linea anti-governativa di via dell’Astronomia, potrebbe finire nel maxi emendamento alla manovra che dovrebbe approdare venerdì in Parlamento. Per Confindustria significherebbe perdere in un colpo solo i contributi di aziende importanti come Enel, Eni, Leonardo, Poste, Rai e Ferrovie. Per i conti dell’associazione degli industriali guidata da Vincenzo Boccia sono quasi 14 milioni all’anno che arrivano alle associazioni territoriali dalle aziende partecipate dal settore pubblico (direttamente dal ministero dell’Economia o tramite la Cassa depositi e prestiti). Di questa somma, 1,3 milioni vanno nelle tasche dell’associazione nazionale.
A spingere in questo senso sono soprattutto, secondo quanto ricostruito, i Cinque Stelle e in particolare il ministro dello Sviluppo Luigi Di Maio. Anche se nella maggioranza si rimpallano la paternità della misura. E ambienti grillini sottolineano che in realtà l’iniziativa arriva dalla Lega. L’ipotesi di un provvedimento normativo veniva giudicata «difficilmente realizzabile» secondo fonti interpellate ieri da La Stampa, pur confermando la volontà di una parte dell’esecutivo di procedere in questo senso.
Una parte, appunto, perché mentre da un lato i Cinque Stelle premono, dall’altro la Lega frena. Dato politicamente significativo, anche perché i primi a parlare di questa ipotesi relativa alle società pubbliche erano stati proprio i leghisti.
Le prime indiscrezioni sulla possibile uscita da Confindustria «per decreto» iniziarono a circolare subito dopo la formazione del nuovo governo, attribuite alla volontà del leader del Carroccio Matteo Salvini in persona.
Poi le parole del presidente di Confindustria Vincenzo Boccia alla riunione degli industriali vicentini, in ottobre, («Crediamo nella Lega») avevano temporaneamente sopito le polemiche. Almeno fino a due settimane fa, quando a fronte di un nuovo attacco di Boccia, Salvini è sbottato: «Siamo al governo da sei mesi, lasciateci lavorare».
Ora, la nuova accelerazione. Che – in attesa di conoscere gli aspetti tecnici – viene accolta con scetticismo negli ambienti delle società potenzialmente interessate. Anche per i profili di legittimità di una norma simile: d’altronde si tratta per lo più di aziende quotate in Borsa le cui decisioni devono passare al vaglio dei consigli di amministrazione. «Stiamo studiando la misura», conferma in serata una fonte governativa, anche per superare questi dubbi.
«Se loro decidono di farle uscire Confindustria si dispiace ma non muore», aveva detto Boccia qualche tempo fa rispondendo proprio al vicepremier Di Maio.