Per Sergio Battelli, presidente M5S della commissione Politiche Ue,«qualcuno sta creando un clima da psico terrore alla Hitchcock». Non sarà stato quello il clima del prevertice di ieri a Palazzo Chigi, ma certo non si respirava neanche un’aria da commedia americana. Perché i conti non tornano e resta l’incubo di una bocciatura della manovra da parte dell’Europa e delle agenzie di rating.
Quello che è certo è che il Consiglio dei ministri di oggi alle 18 dovrà licenziare il decreto fiscale e soprattutto il Draft Budgetary Plan, il Documento programmatico di bilancio. Se non ci saranno modifiche di sostanza, è possibile che la Commissione respinga il testo, con conseguenze imprevedibili. Tuttavia il premier Giuseppe Conte è convinto che i mercati si convinceranno della bontà delle proposte economiche gialloverdi. E Luigi Di Maio assicura: «Lunedì approviamo la manovra, i soldi ci sono».
Eppure fino a ieri sera i soldi non c’erano. Non tutti, perlomeno. In un vertice pomeridiano al ministero dell’Economia, prima del preconsiglio notturno, si è analizzata la situazione arrivando alla conclusione che nelle tabelle, per la manovra da 27 miliardi che comprende 15 tra maggiori entrate e tagli di spesa, mancavano due miliardi di euro. Non proprio noccioline. Anche perché ogni cambio di posta ha un effetto politico, su una o sull’altra forza della maggioranza. Per questo motivo, nel preconsiglio di ieri, cominciato tardi per l’arrivo serale in aereo di Giancarlo Giorgetti e Massimo Garavaglia, si è trattato fino a tardi per trovare una soluzione. E a vertice finito, alle 23, non si è trovata.
La quadra definitiva deve passare attraverso un’analisi delle riforme principali, dal reddito di cittadinanza alla pace fiscale, dalla flat tax alla riforma delle pensioni. Opinioni e priorità diverse, che potrebbero essere conciliate anche in un secondo tempo, con l’azione del Parlamento. Ma che devono trovare un equilibrio in sede di governo.
Sulla pace fiscale il sottosegretario Armando Siri aveva rilanciato al Corriere la proposta leghista di un tetto di un milione di euro in dieci anni per chi ha presentato regolarmente la dichiarazione dei redditi, e quindi non è un evasore, e non ha la possibilità «conclamata» di pagare. Ma i 5 Stelle, temendo che si tratti di un condono mascherato, insistono per un tetto di molto inferiore sui 100 mila euro. La mediazione potrebbe essere sui 200 mila euro. E l’aliquota da pagare potrebbe essere intorno al 25 per cento. Ma ancora ieri sera un esponente leghista confermava: «L’intesa non c’è». Se non si raggiungerà un accordo all’ultimo minuto, c’è l’opzione di un decreto «salvo intesa», sul modello di quanto accaduto per il ponte di Genova (con ricaduta mediatica non entusiasmante per il governo).
Già nei giorni scorsi i tecnici avvertivano del rischio di un buco nel bilancio. Ma non sono solo i tecnici a fare da guastafeste, perché ieri sera anche esponenti politici parlavano dei due miliardi mancanti. Un’opzione potrebbe essere quella di dilatare nel tempo reddito e pensione di cittadinanza. L’idea è che slittino ad aprile. Il punto è che Di Maio si è venduto per giorni, e ancora ieri lo ripeteva, che per il reddito di cittadinanza sono previsti 10 miliardi di euro. Ammettere ora che saranno 8 e non 10 potrebbe non essere facile. Così come è difficile che si materializzi il miliardo di tagli sulle pensioni d’oro annunciato ieri dallo stesso Di Maio. E l’assenza dei vicepremier al vertice notturno certifica la necessità di un supplemento di trattative.