Un fantasma si aggira per Palazzo Chigi. Giovanni Tria arriva in largo anticipo, accompagnato da un mucchio di faldoni, nella sede del consiglio dei Ministri. Lo aspettano al vertice, l’ennesimo sulla manovra. Ma Tria è già lì un paio d’ore prima e si chiude in riunione con il Ragioniere generale dello Stato, Daniele Franco e il capo del governo, Giuseppe Conte. Quando il vertice comincia, di lui non c’è più traccia. Volatilizzato, insieme ai faldoni e alla valigetta. Matteo Salvini e Luigi Di Maio non ne sono affatto dispiaciuti, anzi. E anche il premier Giuseppe Conte è tranquillo: «Di lui non c’era bisogno», fa sapere. Luigi Di Maio conferma: «Tria assente? Si parlava di emendamenti». Come se non si parlasse di economia, di Legge di bilancio, di partite che non si pareggiano e che si rischia di perdere.
Il grande freddo, cominciato da qualche settimana, ha raggiunto temperature siberiane. E martedì potrebbe essere il d-day, quando il premier Conte dovrebbe volare a Bruxelles per incontrare il presidente della Commissione, Jean Claude Juncker. Allora per Tria potrebbe persino prepararsi il momento dell’addio. Sarebbe un gesto clamoroso, in piena manovra, ed è difficile che avvenga. Ma la tentazione di farne un capro espiatorio è forte e i due leader si stanno preparando da tempo a dare a lui la colpa di quel che sta avvenendo. «Per giocare a poker bisogna saper barare — spiega uno dei protagonisti della vicenda — ma lui evidentemente non lo sa fare. Finora ha fatto solo casino, cambiando versione mille volte e calando subito le braghe con Bruxelles». Anche per questo è arrivato il comunicato in cui Conte veniva investito di pieni poteri (si fa per dire) di Salvini e Di Maio. Un modo per esautorare Tria. Che a sua volta si sta facendo delle domande e non fa mistero di sentirsi messo da parte.
Liberi dal fantasma di Tria, i protagonisti del vertice hanno trovato «la sintesi» su alcune misure. Le novità sono: il taglio delle pensioni d’oro, caro ai 5 Stelle, che sale dal 25 al 40 per cento; sulle pensioni si lavora per abbassare la spesa da 6,7 miliardi a 5. E, visto che la platea di chi chiederà l’assegno si capirà solo più avanti, è pronta una clausola di salvaguardia che andrà a modulare le finestre uscita, allungando il periodo tra quando si matura la misura a quando si percepisce l’assegno da 3 a 4 o 6 mesi. Ma, contemporaneamente, bisognerà tagliare e risparmiare anche sul reddito di cittadinanza. E su questo, come sugli altri temi cardini della manovra, sulla quale oggi alla Camera si vota la fiducia, l’accordo non c’è ancora, anche se Conte ostenta sicurezza: «Tra noi è facile, ci troviamo sempre d’accordo. È con l’Europa che è un po’ più complicato». Il ragioniere Franco, che dovrà tradurre l’intesa tecnicamente, ha proposto alcune soluzioni, ma finora la quadra non è stata trovata.
Anche per questo, potrebbe slittare la visita di Conte a Bruxelles, prevista per martedì. Perché Juncker ha fatto sapere che non vuole intromettersi nelle vicende di un altro Paese e vuole un incontro nel quale sia chiara e condivisa la soluzione proposta. A quel punto si andrà a trattare, in vista della risposta europea che dovrà arrivare il 17 dicembre. Ci sono quindi dieci giorni di tempo per sciogliere tutti i dubbi. E per capire se Tria riuscirà ancora ad avere un ruolo o se è destinato a lasciare il passo a un altro ministro.