Per la terza volta da quando è nato il governo giallorosso, Luigi Di Maio e Nicola Zingaretti si sono seduti faccia a faccia per un breve confronto a sorpresa, «molto positivo e costruttivo». I 45 minuti cronometrati dai rispettivi staff sono pochini per «definire i prossimi obiettivi di governo», ma abbastanza per offrire al Paese l’immagine di un tandem che si propone come architrave all’esecutivo: due leader determinati a mettere da parte le polemiche e proseguire l’esperienza del Conte bis. La verifica di gennaio si annuncia a dir poco impegnativa, i quattro partiti che sostengono l’esecutivo dovranno arrivare agli incontri con il premier con le priorità ben chiare nelle rispettive agende. Ma il Movimento è nel caos e il vertice fissato per martedì 7 è destinato a slittare, anche perché Di Maio è in partenza per la Libia. La verifica potrebbe tenersi dopo le Regionali del 26 gennaio, preceduta da un paio di incontri preparatori e dal «conclave» che Zingaretti ha organizzato per il 13 e 14 gennaio all’abbazia San Marco Pastore di Contigliano, vicino Rieti, da cui dovrà uscire la proposta del Pd per il rilancio del governo.
Al centro del rapido «giro di orizzonte», la legge elettorale. Di Maio e Zingaretti procedono in asse verso il «tedeschellum», un proporzionale con sbarramento al 5% che potrebbe mettere in difficoltà i partiti minori. A Leu, il Pd aveva promesso una soglia più bassa e quindi non è detto che Roberto Speranza sia favorevole. Quanto a Italia Viva, a dispetto dei sondaggi i renziani non saliranno sulle barricate.
«Noi siamo tranquilli — preannuncia il via libera Ettore Rosato, coordinatore di IV e vicepresidente della Camera — La soglia del 5% non ci preoccupa, siamo convinti di superarla». Il che non vuol dire che Matteo Renzi non continuerà a essere la spina più acuminata per il presidente del Consiglio Giuseppe Conte, visto il tono polemico con cui Rosato commenta il «bilaterale» tra Zingaretti e Di Maio: «Un incontro di cui avevano bisogno per problemi interni, o ricerca di visibilità».
Al Nazareno spargono ottimismo sulle elezioni regionali del 26 gennaio in Calabria ed Emilia-Romagna e insistono nel descrivere i dem come i «grandi stabilizzatori del governo». Zingaretti, che ha sentito Conte e Renzi e visto Speranza e Gualteri, è convinto di essere tornato centrale e lavora, assicurano i collaboratori, «per rilanciare lo spirito di coalizione». D’altronde chi ha problemi interni è Di Maio, ricordano sottovoce i dem. Il capo politico del M5S ha ribadito che al primo punto della sua agenda ci sarà il salario minimo e che si aspetta piena collaborazione dal ministero dell’Economia per reperire le risorse necessarie a finanziarlo. Sulla riforma della prescrizione, entrata in vigore il giorno di Capodanno, la tensione è calata e si cerca un’intesa. «Se ci fate una nuova proposta che non strida troppo con la riforma Bonafede, la valuteremo», ha aperto Di Maio nel colloquio con Zingaretti.
Più difficile sarà trovare un accordo sul dossier Autostrade, ancora gravido di insidie per il governo di Giuseppe Conte. Di Maio vuole fortissimamente la revoca della concessione ai Benetton dopo la tragedia di Genova e farà di tutto per vincere la battaglia. Zingaretti ha una posizione più cauta, non dice no, ma non è ancora un sì. «Tutte le strade sono aperte — è la linea del segretario del Pd, che aspetta l’esito del tavolo con la ministra Paola De Micheli — La revoca va fatta se ci sono dei motivi. Valuteremo tutti gli aspetti e assumeremo una decisione collegiale».