Ha reagito alla pandemia con il digitale e l’espansione in Asia. Ora Venchi conta sulle riaperture del governo Draghi per riavviare il mercato domestico. «Ma per innescare la ripresa il Paese deve riaprire ai turisti americani – dice Daniele Ferrero, presidente, amministratore delegato e azionista -. Bisogna dare al mondo il messaggio “Italy is back”, l’Italia è tornata nel business. Trasmettere l’idea di un paese tranquillo e sicuro, dove gli ospedali non sono sovraffollati e si garantisce l’ingresso senza quarantena ai vaccinati».
È da un’idea di Silvano Venchi che nel 1878 venne fondato il marchio Venchi, ora divenuto un’azienda di rilievo mondiale nella produzione e distribuzione di cioccolato e gelato di qualità. Nata in un locale in Via degli Artisti in Borgo Vanchiglia a Torino, Venchi nel 1978 sfiorò il fallimento. La ripresa venne con cinque nuovi investitori nel 1997. Con gli anni 2000 partì la rinascita: l’azienda ha affinato la produzione e si è diretta anche verso mercati internazionali, con l’export e le sedi operative. Con una crescita media del 16,43% negli anni 2012-2019 – rivelano i dati di ItalyPost per L’Economia del Corriere della Sera nella classifica dei Champions – Venchi è riuscita a svilupparsi parecchio.
Il fatturato è raddoppiato in cinque anni da 39,72 milioni nel 2012 a 79,56 nel 2017. Nel 2018 è arrivato a 91,04 milioni, per sfiorare i cento l’anno dopo. Venchi ha 51 sedi in Asia e 50 in Europa, delle quali 44 in Italia, cinque in Inghilterra e una in Germania. Sono in programma altre aperture sia sul territorio anglosassone che nella «grande Cina» (Cina, Taiwan, Makao, Hong Kong), dov’è avvenuta la grande espansione dello scorso anno. «Nel 2021, dopo la frenata del 2020, potremo rivedere il giro d’affari del 2019, intorno ai 100 milioni, di cui il 55% dall’estero – dice Ferrero -. L’area della Grande Cina dovrebbe incidere per il 35%, contro il 29% del 2020 e il 14% del 2019». Per dare un’idea dell’exploit orientale: «Il negozio che abbiamo inaugurato a Wuhan in marzo ha fatturato in quel mese 250 mila euro, cinque volte il punto vendita milanese di City Life, quello che è andato meglio in Italia».
Sono 145 i negozi Venchi nel mondo oggi, dice l’azienda: 65 in Asia, 15 negli USA e 65 nell’area Emea (Europa, Medio Oriente e Africa). «Nel 2020, l’anno del Covid, abbiamo aperto 24 punti vendita in tutto il mondo – dice Ferrero -. Entro dicembre è prevista l’inaugurazione della Malesia: così saranno almeno 75 i nostri negozi in Asia». Una mossa strategica di Venchi, negli anni, è stata inserire i punti vendita in aeroporti, stazioni e nella catena Eataly, soprattutto sul suolo americano. Così l’azienda è riuscita ad attirare clienti, offrendo l’esperienza made in Italy di qualità.
Il 2020 con la pandemia ha messo a dura prova la vendita al dettaglio e il canale horeca (hotel, ristoranti, catering). Il calo per Venchi è stato quasi del 35% dei ricavi rispetto a prima della pandemia, con un fatturato sceso da 98,95 milioni a 64,5 e il margine lordo da 19,7 a sei milioni. L’anno è stato chiuso in perdita per circa 4 milioni. «Nel 2020 ci sono mancati 23 milioni di euro dal turismo internazionale», dice Ferrero. Il calo dei ricavi, in generale, poteva essere più forte se Venchi non avesse reso la crisi un’opportunità: «Nei primi mesi del 2020 la vendita sui canali digitali è quintuplicata», dice l’azienda. È nel 2022 che, secondo il presidente, le attività potranno riprendere a gonfie vele. Intanto Venchi sta continuando a spingere sulla crescita aziendale, per continuare a essere un’eccellenza italiana «glocal».