Un vaso rotto che non ha nulla a che vedere con il «kintsugi», l’arte giapponese di trasformare le ceramiche frantumate in bellissime metafore di resilienza. Per ora di Valtur, il gruppo fondato negli anni 60 e simbolo del turismo del villaggio vacanza, restano molti cocci: avviata la procedura di licenziamento collettivo per 108 dipendenti a tempo indeterminato (123 i contratti a termine) e avanzata la richiesta al Tribunale di Milano di concordato preventivo. L’ennesimo. Con alcuni gioielli come il Tanka Village di Villasimius, Sardegna, passati in gestione ad Alpitour.
Eppure appena due anni fa i piani di Andrea Bonomi, il finanziere milanese del private equity, erano tutt’altri: rilancio e creazione di un polo del turismo all’italiana «leader nell’area del Mediterraneo». Che cos’è successo? La risposta sta tutta nei bilanci e nel verbale dell’ultima assemblea di Valtur del 2 marzo, in cui il consiglio di amministrazione prende atto di una sola possibilità: concordato preventivo.
Già nel 2016, subito dopo l’acquisizione, erano emersi per la nuova proprietà serie difficoltà, prima fra tutte il fallimento di OIL, la società che forniva a Valtur alcuni servizi di hotel management e personale: chef, camerieri, animatori. Valtur è costretta a transare e pagare 15,6 milioni di euro per gli esercizi 2012-2015 ma il problema più grande sono i 70 milioni di euro che emergono in fase di consolidamento integrale post acquisizione. La holding è costretta, per legge, a imputarli a conto economico negli «oneri diversi di gestione».
Ad aprile 2016, quando subentra, Investindustrial si rende conto che la stagione estiva è alle porte ma i depliant Valtur sulle scrivanie delle agenzie turistiche non arrivano. Risultato? Villaggi mezzi vuoti e un’occupazione dei resort del 41% contro una media del 55% dell’estate precedente. Sullo sfondo, nel frattempo, si apre una battaglia legale tra Bonomi e Franjo Ljuljdjuraj, l’imprenditore montenegrino trapiantato in Veneto da cui il finanziere milanese ha comprato Valtur e contro cui avvia un’azione di responsabilità denunciando gravi irregolarità anche nella gestione delle forniture. Persino i costi di gestione delle società controllate vengono definiti «illeggibili nella loro composizione».
Nel 2017, nonostante il tasso di occupazione dei villaggi passi al 66,7%, il risultato gestionale rimane «negativo» per lacune e mancanze che vengono imputate alle precedenti gestioni. A ottobre 2017 i ricavi crescono ma non compensano l’aumento dei costi e anni di cattiva gestione dei resort. A fine 2017 la vendita a Cassa Depositi e Prestiti dei tre resort che Bonomi aveva rilevato da Prelios: venduti per 43,5 milioni di euro Marina di Ostuni, Marilleva e Pila. Ma continuano a emergere difficoltà che portano, nel 2017, ad accantonare 31,8 milioni per rischi «di natura commerciale, civile e giuslavorista la cui manifestazione è ritenuta certa o probabile».
Ma la goccia che fa traboccare il vaso arriva a fine 2017: le negoziazioni per la gestione di alcuni resort non vanno come auspicato. Il Garden Calabria, ad esempio, due piscine, 4 campi da tennis, sei blocchi di edifici con camere sulla costa tirrenica calabrese, sostiene che il contratto di affitto sia già risolto e i crediti «rivenienti» ceduti a Unicredit. Anche le trattative con il Garden Toscana non vanno nella direzione auspicata. Poi arriva la tegola del Tanka che rappresentava circa il 20-25% del fatturato Valtur: «Indisponibilità a stipulare un contratto a lungo termine» tant’è che poi Antirion, il fondo che possiede il resort dei vip in Sardegna, stringe un accordo con Alpitour.
Valtur si arrende al concordato preventivo con un bilancio di esercizio al 31 ottobre 2017 con perdite per 80,2 milioni. Il ministero dello Sviluppo Economico Carlo Calenda ha annunciato per dopo Pasqua un incontro con azienda e sindacati. Nel frattempo, sarebbero sei tra aziende e fondi, ad aver manifestato un interesse. Forse sperano nel «kintsugi» .