Il progetto Manhattan, che portò al nucleare per scopi bellici, impiegò 130.000 persone, costando oltre due miliardi di dollari dell’epoca e fu la prima impresa scientifica di simile portata che coinvolgesse contemporaneamente tecnici e politici.
Nello stesso solco, la corsa alla Luna, voluta dal presidente Kennedy. Anche se gli scopi precipui di questi progetti erano in primis militari e politici, entrambi hanno avuto evidenti ricadute anche in ambito tecnologico ed economico, dimostrando la necessaria interdipendenza tra politica e scienza. Pensiamo all’energia nucleare per uso civile, che ha sostenuto il boom economico italiano e la ricostruzione dell’Europa. Il progetto di conquistare la Luna, invece, è costato 25 miliardi di dollari, impiegando 400.000 tra tecnici e dipendenti. Secondo i conti della NASA, per ognuno di questi dollari spesi, nel lungo periodo, ne sono rientrati tre. Per non parlare delle decine di migliaia di brevetti reimpiegati in oggetti di uso quotidiano. Qualche esempio: i pannelli solari, gli occhiali Ray Ban, le scarpe Nike Air e molti altri successi commerciali sono derivati dai brevetti messi a punto durante la scommessa lunare […].
La figura dello scienziato tradizionale è quindi sostituita, nel secondo dopoguerra, da quella dei grandi consorzi, guidati dallo Stato che da mecenate si è fatto committente e che utilizza ingenti capitali, sia economici che umani. Questo metodo, battezzato Big Science, funziona ancora oggi: permette, per esempio, esperimenti come se ne fanno al CERN di Ginevra, che ci rivela l’intima struttura della materia, dandoci però anche strumenti per progettare tecnologia all’avanguardia. Ancora: il Progetto Genoma umano, che ha permesso la lettura dei geni umani, a beneficio della salute e delle imprese della tecnologia sanitaria […].
Certo, all’estero i nostri scienziati vanno a ricoprire posizioni importanti e questo ci fa onore. Ma perché non creare condizioni tali per cui i grandi poli scientifici, fonti di reddito, come abbiamo dimostrato, siano edificati in Italia e qui producano ricchezza? In altre parole, perché il CERN o il super-telescopio ALMA non vengono costruiti da noi? Perché la scienza è un progetto a lungo termine, mentre la politica non vede più in là di pochi anni, a volte mesi, in Italia. Il politico, in perenne campagna elettorale, non cerca il bene per il Paese, ma il consenso, e crea, in maniera equilibrista e sgraziata, il compromesso tra la fantasia (le ambizioni del popolo) e la realtà (debito pubblico, PIL etc). Se la politica non punta sulla scienza l’Italia è un Paese morto.
*Estratti del volume “Usare il cervello. Ciò che la scienza può insegnare alla politica” di Gianvito Martino e Marco Pivato, La nave di Teseo editore, 2018