La crescita americana rallenta nel primo trimestre del 2018: 2,2% rispetto al 2,9% degli ultimi tre mesi del 2017. Il dato, diffuso ieri dal Dipartimento del commercio, è leggermente inferiore alle attese degli economisti che avevano previsto il 2,3%.
I mesi iniziali dell’anno sono spesso, come mostrano i grafici, i meno dinamici. Gli esperti di «Macroeconomic Advisers», citati dal Wall Street Journal, prevedono un deciso cambio di marcia nella seconda parte dell’anno, con un 3,6% già a partire dal periodo aprile-giugno 2018.
Donald Trump ha promesso una «crescita vigorosa», con tassi superiori al 3%. E’ ancora troppo presto per stabilire se l’impegno verrà mantenuto. Però si può cominciare a ragionare sulle componenti del prodotto interno lordo. I consumi interni, cioè il volano che crea i due terzi della ricchezza, sono aumentati solo dell’1%, con il ritmo più basso degli ultimi cinque anni. Sale, invece, dell’1,1% la spesa pubblica, trainata soprattutto dai massicci trasferimenti alle forze armate.
Ma il punto chiave dell’analisi è l’effetto della riforma fiscale approvata dal Congresso alla fine del 2017. La propaganda e anche la mitologia stanno ora lasciando spazio ai dati di fatto. La misura chiave è la riduzione del prelievo sugli utili di impresa dal 35 al 21%. Le aliquote sulle persone fisiche sono state riviste, ma non rivoluzionate. E’ ancora difficile calcolare gli eventuali risparmi del ceto medio, per esempio.
Il riscontro è chiaro, stando ad altre statistiche pubblicate sempre ieri dal Dipartimento al Commercio. Nel primo trimestre 2018 i profitti netti di impresa sono balzati al 7,8%, con un vistoso recupero rispetto al calo del 9,8% degli ultimi tre mesi del 2017. Ciò significa che il taglio delle tasse ha portato risorse aggiuntive alle imprese, ma per ora non c’è stato l’atteso trasferimento lungo la catena produttiva. I salari sono rimasti sostanzialmente allo stesso livello, tranne poche e ben pubblicizzate eccezioni.
Vedremo nei prossimi mesi se ci sarà una maggiore redistribuzione a favore dei dipendenti e delle famiglie e quindi un’accelerazione dei consumi interni. Il quadro, quindi, è ancora fluido, anche se la Federal Reserve sembra convinta che la ripresa sia ormai solida e in grado di assorbire un altro ritocco dei tassi di interesse, ora attestati sull’1,5-1.75%. Qui l’appuntamento con le decisioni della Fed è tra due settimane, il 12-13 giugno.
Nel frattempo gli Stati Uniti restano impegnati nello scontro commerciale con i maggiori partner. Uno di questi è la Germania, dove il pil ha preso velocità, come segnala il tasso di inflazione stimato in aumento dello 0,5% rispetto al mese scorso e del 2,2%, anno su anno. Una soglia che può far pensare al «surriscaldamento» dell’economia e comunque superiore all’obiettivo della Banca centrale europea fissato al 2%.