Le bandiere del 5G stanno colorando il planisfero un accordo alla volta. I grandi costruttori di tecnologie di rete stanno lavorando da anni alle sperimentazioni della tecnologia che farà un salto rispetto al 4G, a fianco degli operatori di telecomunicazioni. Huawei, Nokia, Ericsson, Cisco e Zte sono i cinque leader: insieme rappresentano il 75% del mercato globale con Huawei che ne vale da sola il 30%(dati di Dell’Oro Group sui primi 9 mesi del 2018): Due aziende cinesi (Huawei e Zte), due europee (Nokia, che da tre anni ha acquisito Alcatel-Lucent, ed Ericsson), una americana (Cisco). In questi mesi si stanno depositando tonnellate di cavi e antenne, ma anche collezionando migliaia di pagine di report da parte delle grandi agenzie di intelligence, a partire da Cia, Fbi e Nsa, e consumando una delle guerre commerciali globali più imponenti degli ultimi decenni. Stati Uniti contro Cina, l’Europa in mezzo.
La pressione degli Usa
Del resto la fabbrica del mondo ha deciso di diventare fucina di innovazione. È in questa trasformazione della Cina – le cui ambizioni in settori che vanno dalla robotica, all’aerospazio, tlc, intelligenza artificiale sono declinate nel piano “Made in China 2025” – che si annida il senso di quei timori, strategici, che hanno portato l’amministrazione Trump ad alzare il livello dello scontro. Gli Usa si sono dapprima scagliati contro Zte, accusata di aver disatteso un accordo per chiudere una vicenda legata alla violazione dell’embargo in Iran e Corea de l Nord. Da qui la decisione – poi rientrata anche il pagamento di una sanzione miliardaria – di vietare per sette anni alle aziende Usa di fare affari con la società che per tre mesi ha di fatto bloccato Zte a livello mondiale. Poi la scorsa estate gli Usa hanno bandito le aziende cinesi, Huawei e Zte, dalla realizzazione del 5G nel Paese. Hanno fatto lo stesso Australia, Nuova Zelanda e Giappone. La ragione ufficiale è la sicurezza nazionale e in particolare la potenziale applicazione di una legge sull’intelligence nazionale cinese, approvata nel 2017, che apre alla collaborazione tra Stato e aziende nazionali sull’intelligence.
Il governo americano da mesi sta facendo pressioni sulle ambasciate dei principali Paesi europei affinché facciano la stessa scelta. O con noi o contro di noi. Da guerra commerciale si è passati a una battaglia geopolitica. Germania e Inghilterra sono sotto pressione. L’intelligence inglese ha detto che il rischio Huawei è gestibile, sostenendo che gli standard generali sulla sicurezza sono più importanti dell’origine delle forniture. L’intelligence tedesca ha messo in guardia il governo dai rischi: una decisione sarà presa a partire dalla prossima settimana dall’agenzia federale per le comunicazioni, riferisce Handelsblatt, anche se il Paese non sembra propendere per un bando. In Italia – dove il memorandum sulla Via della Seta fra Italia e Cina sta anche creando tensioni nella maggioranza fra M5S e Lega – è in fase di attivazione il Cvcn (Centro di valutazione e certificazione nazionale) che, presso il ministero dello Sviluppo economico, dovrà certificare, qualificare ed eventualmente fare raccomandazioni sugli apparati tecnologici montati sulle reti strategiche. Non basta però il decreto ministeriale firmato da Di Maio: manca ancora il decreto direttoriale che deve definire il funzionamento del Centro, per il quale potrebbero servire risorse dedicate. E nel frattempo si starebbe studiando una modifica del golden power in grado di ampliarne l’azione – oggi limitata ai casi in cui vengano acquisite partecipazioni azionarie in aziende che operano in settori ritenuti strategici – anche su appalti e forniture. Cosa, questa, che teoricamente consentirebbe di intervenire – tra gli altri settori strategici – anche sul 5G e sulle forniture tecnologiche di Huawei e Zte per la realizzazione delle reti tlc di nuova generazione.
La posta in gioco
Per il Vecchio Continente è difficile fare a meno di Huawei, viste le pluriennali relazioni commerciali e tecnologiche con gli operatori. I protagonisti dell’industria sono preoccupati che l’enfasi sulla sicurezza possa rallentare lo sviluppo del 5G. Nelle scorse settimane è stato il ceo di Ericsson, Börje Ekholm, a dirlo con chiarezza: «Il focus su un solo aspetto (l’affidabilità di Huawei, ndr.) rischia di rallentare l’adozione del 5G in Europa». I reali problemi nel Vecchio Continente a suo dire sono altri: la mancanza di spettro, il suo costo elevato, le normative che rallentano, tanto che alcuni Paesi non hanno ancora svolto le aste. Parole simili da parte del ceo di Vodafone, Nick Read, che al Mobile World Congress di Barcellona ha detto che sarebbe «molto, molto costoso» per gli operatori e per i consumatori abbandonare le forniture di rete di Huawei a favore dei competitor. Il debutto del 5G in Europa potrebbe rallentare «probabilmente di due anni».
Gli Stati Uniti e la Corea del Sud sono stati i primi Paesi al mondo a lanciare offerte commerciali nel 2018 e vanno veloci. Proprio la coreana Samsung ha approfittato del “ban” nei confronti di Huawei per aggiudicarsi una fornitura di 5G con Verizon. Resta il fatto che l’enfasi politica e di cybersicurezza sulle nuove reti rischia di far perdere di vista qual è lo stato attuale delle tecnologie di rete nel mondo. Il 4G è largamente dominante e, secondo le stime della Gsma association, lo sarà ancora a lungo: nel 2025 avrà il 59% delle connessioni contro il 20% del 3G e il 15% del 5G. Ma anche restando all’interno di questa fotografia, non cambiano gli equilibri industriali: considerando tutti gli equipaggiamenti di rete Huawei ha oggi il 28% del mercato mondiale, seguita da Nokia con il 17%, Ericsson con il 13,4%, Cisco con l’8,3% e Zte con il 7,8% (dati Dell’Oro group). Il mercato è tornato a crescere dell’1% nel 2018 in particolare grazie agli investimenti nel 5G e nelle antenne radio: in questo segmento, il più ricco, Huawei è tallonata dalla svedese Ericsson.
Business e sicurezza
C’è da chiedersi perché soltanto oggi si sia alzato con questa enfasi l’interesse sulla sicurezza nazionale, visto che Huawei è da anni leader di mercato delle tecnologie di rete. Una ragione tecnica c’é: il 5G non è una rete come le altre. Non è soltanto molto più veloce del 4G. Il grande salto è la scarsissima latenza, il che lo rende perfetto per poter reggere un altissimo numero di connessioni contemporaneamente. È inoltre molto flessibile e dunque sarà in grado di abilitare un nuovo scenario dove sempre più oggetti saranno connessi. Gli ambiti principali di applicazioni saranno nell’industria e, in prospettiva, nella gestione di veicoli autonomi. Secondo le stime della Gsma porterà un contributo all’economia globale di 2.200 miliardi di dollari entro il 2034, il 5,3% delle crescita del Pil. I settori saranno: manifattura e utility (35%), servizi professionali e finanziari (29%), settore pubblico (16%), Ict e commercio (14%), agricoltura e attività estrattiva (6%). Dal controllo del 5G, in sintesi, passerà inevitabilmente qualsiasi posizione di forza sullo scacchiere economico globale. Ecco perché la sicurezza è decisiva: «Nel 5G – spiega al Sole 24 Ore Fredrik Jejdling, responsabile globale delle reti di Ericsson – la sicurezza non è un elemento aggiuntivo, ma fa parte, fin dall’inizio, del processo di standardizzazione. Anche perché è un tema particolarmente critico: si pensi a una flotta di veicoli gestiti da remoto». Il grado di penetrazione nell’economia globale dei prossimi 15 anni spiega perché le due superpotenze mondiali hanno incrociato le lame in questa sfida.