Arièccoci: nuova campagna elettorale. Prima che gli italiani patissero l’astinenza dai comizi, gli appelli, le intemerate, le promesse, i selfie baci-baci, le cene di sostegno, i dibattiti nelle tivù locali, i tour de force da un quarto d’ora a tappa («purtroppo devo andare, amici, il tempo è tiranno…») il circo è già ripartito. Terze Regionali in sette settimane.
Sinceramente: non ne sentivamo la mancanza. Sono due mesi che l’attività di governo, già tormentata da contrasti, mal di pancia, altolà, risse intestine, minacce d’abbandono, battute, tweet, scomuniche, ultimatum, e pacificazioni col sorriso affilato, viene continuamente interrotta. Prima in Abruzzo, poi in Sardegna, adesso in Basilicata. Un tormento. Senza tregua. Da non poterne più. Come probabilmente non ne possono più tanti italiani che vorrebbero chiedere ai litigiosissimi competitors: potete una buona volta concentrarvi sui problemi?
E non è finita. Quanti si illudono, passata la prossima prova di forza a Potenza e Matera, di poter finalmente tirare il fiato almeno fino alle Europee, se la mettano via. Prima delle elezioni comunitarie del 26 maggio, che vedranno la chiamata alle urne anche degli elettori alle Regionali del Piemonte e alle Comunali di varie città (da Firenze a Bergamo, da Reggio Calabria a Sassari) per un totale di 3.860 municipi, è fissato un ulteriore appuntamento.
Il 28 aprile infatti si voterà in 38 comuni siciliani, come Caltanissetta. E anche quello, potete scommetterci, sarà considerato un «test chiave» non solo per capire come butta sul fronte governativo ma anche se tiene o non tiene in Regione la maggioranza di destra, già ammaccata e irrequieta. Dopo di che, eletti l’Europarlamento e il governatore piemontese, ci saranno il 9 giugno i ballottaggi per le comunali.
Non si tratta più di un felice esercizio di democrazia. Ma della sua caricatura perversa. Infettata dalla «votite acuta». Dove ogni prova elettorale è l’arena di una defatigante guerriglia che giorno dopo giorno stressa gli elettori, stressa i capibanda costretti a giocare per metà (contrattualmente) insieme e per metà (politicamente) opposti in una guerra permanente e infinita che stressa infine le istituzioni. Il tutto in attesa che una delle due fazioni sovraniste decida che è arrivato il momento conveniente per chiudere. Obiettivo: tornare prima possibile a nuove elezioni. Ovvio…
Si dirà: ma l’«Election Day»? Non c’è un dibattito aperto da anni sull’opportunità, tanto più in un Paese rissoso come il nostro, di raggruppare le elezioni o i referendum in una sola tornata così da risparmiare soldi e più ancora energie politiche, culturali, mentali altrimenti distratte da questi ossessivi appuntamenti alle urne? Certo. Peccato che l’innovazione venga calorosamente invocata o ringhiosamente combattuta, volta per volta, a seconda della convenienza.
Esempio? La battaglia dei grillini in Basilicata, con tanto di ricorso al Tar (vinto), contro l’abbinamento delle Regionali con le Europee deciso dalla giunta uscente. Preso il 44% il 4 marzo 2018, i grillini si sentivano già la vittoria in tasca: «Va assicurato il più celere ripristino della piena legittimazione democratica e l’ordinaria funzionalità della Regione». In Sicilia l’esatto contrario: «Fissare ad aprile le elezioni amministrative in Sicilia, evitando il possibile Election Day con le Europee, è una follia che costerà ai siciliani un milione di euro».
Ma è solo l’ultimo caso di un tormentone che va avanti da anni. Ed ecco la sinistra esaltare mille volte l’abbinamento tra voti diversi (come nel 2011 quando i referendum sul nucleare e l’acqua pubblica avrebbero potuto infastidire la destra) per invocare poi lo sdoppiamento alla vigilia del voto 2013 nella convinzione che le amministrative potessero tirare la volata del Pd alle politiche. Ecco la Lega una volta irridere all’Election Day che avrebbe fatto risparmiare «poco più di 172 milioni» (cioè spiccioli) e un’altra pretenderlo perché «non possiamo buttare nel cesso 50 milioni». Per non dire di Silvio Berlusconi che dopo aver firmato un progetto per «lo svolgimento contemporaneo delle elezioni europee, regionali e amministrative» finì per urlare, in un’occasione diversa, che l’Election Day sarebbe stato «un attentato alla democrazia!».
A farla corta: sarebbe più onesto dire «vogliamo l’accorpamento perché ci conviene» o «rifiutiamo l’accorpamento perché non ci conviene». Punto. Detto questo, però, la necessità di trovare una mediazione sensata tra la «dittatura centralista» e l’autonomia anarcoide che consente a sei regioni di votare nello stesso anno in cinque date diverse (ammesso che Calabria ed Emilia-Romagna votino in autunno lo stesso giorno…) è sempre più urgente. Di tutto abbiamo bisogno, in questo Paese di guelfi e ghibellini, tranne che di una campagna elettorale permanente ed eterna .