«Ragazzi, io di tornare insieme a Berlusconi non me la sento proprio». Fino a qualche settimana fa, senza far ricorso a eufemismi di maniera, Matteo Salvini scuoteva la testa di fronte ai leghisti che gli chiedevano conto della possibilità di rompere l’asse di governo coi M5S per tentare il ribaltone col vecchio centrodestra. Succedeva dopo che il «filotto» di vittorie alle elezioni regionali aveva rianimato la voglia, soprattutto negli ambienti del partito più sensibili alle sirene dei governatori Luca Zaia (Veneto) e Attilio Fontana (Lombardia), di tentare di cambiare il segno alla maggioranza.
A un mesetto di distanza da quel «niet», la posizione del leader leghista comincia a scricchiolare. Nel senso che sì, è vero, l’opzione numero uno rimane quella di resistere fino a ottobre per poi tentare la corsa solitaria alle elezioni anticipate. Ma è altrettanto vero che le posizioni di Salvini e Berlusconi, che a occhio nudo sembrano sideralmente distanti, nella realtà lo sono molto meno.
Un esempio? Nelle agende della segreteria berlusconiana di Arcore, dove rimane traccia delle telefonate in entrata e in uscita anche quando l’ex premier è fuori sede, è spuntata nella giornata di ieri la parola «Salvini». Impossibile sapere chi ha chiamato chi, quanto è durato il contatto o se è possibile che i due si siano visti o che si possano vedere nei prossimi giorni. Più facile intuire che l’occasione dello scambio di auguri di Pasqua possa aver segnato l’ennesimo passaggio di un riavvicinamento.
Quanto è possibile che dopo le Europee Salvini giochi la carta di far cadere il governo per tentare la strada di un accordo parlamentare con FI e Fratelli d’Italia? Nella squadra dei leghisti di governo e sottogoverno, tra quelle stesse persone che fino a ieri l’altro negavano con fermezza la possibilità di un ribaltone si registra un cambio d’atteggiamento. Un componente del governo Conte la racconta così: «Fino alla settimana scorsa, il legame solidissimo tra Di Maio e Salvini era il collante per tenere insieme noi e i Cinquestelle. Ora quel rapporto è saltato. Da quando i M5S hanno lasciato trapelare l’insofferenza dello Stato maggiore contro il Viminale per la faccenda degli sbarchi, il rapporto tra i due ha cominciato a consumarsi come un fiammifero. E oggi, dopo il caso Siri, è come se non esistesse più…».
Forza Italia, non è un mistero, preme perché si tenti il tutto per tutto. Addirittura c’è chi avrebbe individuato nell’ex M5S Salvatore Caiata, deputato e presidente del Potenza Calcio, l’uomo in grado di far transitare per il gruppo misto quelle decine di «transfughi» M5S che — pur di evitare le urne — sosterrebbero un governo di segno diverso. Sensazioni, impressioni, per ora. Come quella a cui ha dato fiato un preoccupatissimo Marco Minniti qualche giorno fa, confidandosi con alcuni colleghi del Pd. «Guardate che Salvini non rischierà mai di andare al voto», è stato il ragionamento del suo predecessore al Viminale. «Perché ha in tasca, e con questo Parlamento, la possibilità di eleggere nel 2022 un presidente della Repubblica “di destra”, in grado di cambiare per sempre il sistema politico. Io le ho viste coi miei occhi, le prove generali di quel voto per il Colle. Guardate com’è finita sulla legittima difesa. Tutti a favore tranne un centinaio, noi e quelli della sinistra. Un incubo…»