Quattro fratelli. Due case a picco sul Mare del Nord. Un dramma familiare sepolto nel silenzio da decenni. Eredità (Fazi) è un libro che si può gustare questa estate, anche se non facile nella scrittura, che va avanti e indietro, cambia continuamente il ritmo, non svela, talvolta punta a innervosire: ripetizioni di parole, frasi corte, domande, sogni. È innegabilmente un romanzo interessante che non si riesce ad abbandonare.
Con questo libro, premiato dai librai norvegesi come miglior libro dell’anno, in vetta alle classifiche di vendita per mesi, osannato dalla critica internazionale, la norvegese Vigdis Hjorth ha raggiunto la fama mondiale. Lirica riflessione sul trauma e sulla memoria, è al tempo stesso il furioso racconto della lotta di una donna per la sopravvivenza.
Tutto comincia con due case al mare che gli anziani genitori donano come anticipo di eredità alle figlie minori, Åsa e Astrid, senza considerare i maggiori: Bård e Bergljot, la primogenita, protagonista e voce narrante che da ben 23 anni ha tagliato i ponti con la famiglia e ora si schiera dalla parte del fratello, l’unico maschio. I due, va detto, non hanno avuto la stessa infanzia delle loro sorelle minori, e agli occhi dei genitori rappresentano come un’incrinatura a un diamante perfetto che è in verità un falso. Bård il maschio e Bergljot la femmina hanno ormai entrambi superato i 50, con il resto della famiglia non hanno rapporti, ma adesso, che c’è da dividere i beni, chiedono di essere ascoltati, Bard in verità ha sempre continuato a sentirsi con loro anche se meno assiduamente, è legato alle case per via delle vacanze vi passavano i suoi figli, un fatto dice lui sentimentale. Bergljot no, ha tagliato e basta, non conosceremo, fino allo svelamento finale il motivo. Ma ora rivendicano in una sorta di alleanza i loro diritti, più lui di lei, non tanto per i soldi quanto per il fatto di non voler lasciarsi tutto alle spalle. Dividere in modo non equo significa ancora una volta negare quello che è stato.
In un’atmosfera rarefatta e trattenuta – è come se il soffitto pesasse a mano a mano che andiamo avanti – ci addentriamo nella storia. Seguiamo la protagonista Bergljot, che a sua volta rivede il fratello dopo 15 anni che svela tra ricordi e piccoli anche attraverso i ricordi, andando avanti e indietro nel tempo, le telefonate con la sorella Astrid, la più fastidiosa in verità ma l’unica con la quale ha mantenuto un minimo di rapporto, la sua vita, il matrimonio, i figli grandi che hanno continuato a vedere i nonni, la sofferenza, la sua presa di coscienza, le complicate relazioni familiari, la sua decisione di allontanarsi e, in caduta libera, arriviamo all’evento all’origine di tutto.
Un romanzo denso, che ci parla di colpe e silenzi, di cosa vuol dire non essere creduti e ascoltati. Di verità rimosse e dolorose ma che vanno dette, testimoniate e gridate a noi e agli altri.
*ANSA, 02 agosto 2020