Domani il Senato si riunirà per ascoltare le comunicazioni del premier Giuseppe Conte. È l’occasione per verificare se la crisi si aprirà formalmente. Tuttavia, è davvero difficile, oggi, pre-vedere quanto avverrà domani. E nei giorni seguenti. Come è stato difficile seguire l’andamento della crisi, negli ultimi mesi. Perché, per essere del tutto chiari, è stato difficile fin dal primo momento “definire” l’andamento di questo governo. E di questo sistema politico. Uscito dalle elezioni del marzo 2018. Un sistema politico e parlamentare “in-definito”. Che è complicato definire in base alle categorie e ai modelli che conosciamo. E utilizziamo. In Italia e non solo.
Perché procede “quasi per caso”. E, come ha evocato in modo crudo ed efficace Ezio Mauro, alcuni giorni fa, rischia il “Big Bang”. D’altronde, oggi, l’unico vero orizzonte del nostro sistema politico è l’anti-politica.
Un orientamento populista divenuto molto popolare, negli ultimi anni. Non solo in Italia. Ma in Italia si è affermato in modo forse più evidente, rispetto ad altri Paesi europei. Soprattutto dopo le elezioni del 2018, quando il M5s ha ottenuto oltre un terzo dei voti. E ha formato un governo insieme alla Lega di Salvini. Che è tutt’altra Lega rispetto alle Leghe regionaliste degli anni Ottanta e alla Lega Padana di Bossi. La Lega di Salvini ha superato il Po. È scesa al Centro e nel Sud.
Ma, soprattutto, si è schierata a Destra. Accanto al Front (oggi Rassemblement) National di Marine Le Pen.
Amica e sostenitrice di Salvini. E della sua Lega.
Divenuta Lega Nazionale. Per assonanza e analogia con il Front National. (Come ho suggerito fin dal 2014).
L’intesa fra la Lega di Salvini e il M5s è apparsa, un anno fa, improbabile e, al tempo stesso, inevitabile.
Improbabile, per le differenze sociali e di orientamento, fra i due soggetti partiti. La Lega: un partito radicato sul territorio, sotto il profilo elettorale e, prima ancora, strategico. Il M5s, un non-partito, per autodichiarazione. Trasversale, sul piano della base sociale ma anche politica. I suoi elettori: equi-distribuiti fra Destra, Centro e Sinistra. Con una componente ampia, esterna ed estranea allo spazio politico Destra — Sinistra. Infine: un (non) partito “nazionale”, distribuito, nel 2013, in tutto il Paese.
Anche se alle elezioni del 2018 entrambi, Lega e M5s, hanno cambiato impianto territoriale.
La Lega: Da Nord è scesa nelle regioni del Centro — un tempo “rosse”. E si è “incamminata” verso Sud. Dove, invece, ha incontrato grande successo e consensi il M5s. Così, M5s e LdS (la Lega di Salvini) hanno ottenuto un risultato largamente imprevisto, per misura e ampiezza. Tanto più in confronto ai tradizionali protagonisti della Seconda Repubblica. FI e il Pd.
Centrodestra e Centrosinistra. Il Pd sotto il 19%. E quindi poco sopra LdS, arrivata oltre il 17%. E, quindi, molto sopra a FI (14%).
LdS e M5s, dunque, si sono incontrati al governo quasi “per forza”. E “per caso”. Per assenza di alternative, vista l’in-disponibilità del Pd di governare con il M5s. E l’in-disponibilità del M5s di allearsi (anche) con FI. Le forze politiche di governo condividono, dunque, un orizzonte e un retroterra di “divergenze” e “insofferenza”. Rispetto a tutte le forze politiche e a tutti i partiti. Non solo “esterni” alla maggioranza.
Anche rispetto agli “alleati”. D’altronde, l’esperienza dell’ultimo anno è costellata di dissensi e tensioni.
Il contratto di governo ha sommato i progetti e gli interessi specifici, di ogni formazione. E, Giuseppe Conte, divenuto premier “quasi per caso”, ha faticato non poco a comporre due orientamenti tanto lontani e diversi. Ci è riuscito perché la crisi è sempre apparsa troppo rischiosa ai soci di maggioranza. Perché, comunque, il patto di governo, per quanto conflittuale e poco produttivo, è sempre risultato vantaggioso.
Rispetto alle alternative possibili. Nonostante i rapporti di forza siano cambiati profondamente, come hanno messo in evidenza i sondaggi e, da ultime, le elezioni Europee dello scorso giugno. La Lega di Salvini: attestata intorno al 34%. Il M5s: dimezzato rispetto al 2018. Vicino al 17%. E, tendenzialmente, in calo. Da ciò la tentazione di Salvini di cogliere il momento favorevole, prima che passi. Prima che cambi il vento. Per questo ha spinto per aprire la crisi. Con molti dubbi. Perché le elezioni Europee e i sondaggi talora — magari, spesso — non vengono confermati alle Politiche. (Chiedere a Renzi e al suo PdR per avere indicazioni in merito…). E perché, in fondo, se la LdS sta ottenendo tanti consensi, in “questo” quadro politico, perché non mantenerlo ancora per qualche tempo?
Il Pd e il M5s, per ragioni molto diverse, hanno interessi analoghi. A non accelerare la crisi. Il Pd: in ripresa. Il M5s: ancora in calo. Tanto che è sceso nuovamente in campo Beppe Grillo. L’unico vero “capo” in grado di “personalizzare” il M5s. Per questo si parla di una possibile intesa tra Pd e M5s. Molto rischiosa per entrambi. Ma anche per la LdS. (E se funzionasse?).
Così la crisi procede. In modo intermittente e in-definito. Quasi per caso. Come, quasi per caso, è nato questo governo. E, un po’ per caso, un caso dopo l’altro, un giorno dopo l’altro, ha condotto il suo percorso. Per questo è complicato immaginare cosa avverrà dopo il Big Bang. Domani. Per non dire dopo-domani. In Italia.
In questo Paese a “pluralismo molto imperfetto”. Una democrazia in-definita. Quasi “per caso”.