A poche settimane dall’uscita, il 2 marzo per l’editore Einaudi, Michela Murgia è in vetta alle classifiche dei libri più venduti con il saggio Stai zitta e altre nove frasi che non vogliamo sentire più. In occasione dell’inchiesta della 27Ora 2011-2021 Adesso né domani, né dopo, l’autrice analizza nel video qui sotto proprio il linguaggio come uno dei marcatori del sessismo. E fa il punto sui passi avanti compiuti dalle donne e su quelli ancora da fare.
Per quanto riguarda l’ultimo decennio, osserva, conquiste ce ne sono state: «In relazione ai femminicidi, ad esempio, finalmente da qualche anno si comincia a trattarli in modo distinto dagli altri casi di criminalità. Anche se l’approccio è ancora quello securitario. Si agisce sull’assassino quando ormai l’omicidio è stato compiuto, mentre sono pochi gli investimenti nelle attività di prevenzione e di educazione». Tra i punti ancora deboli nell’attuale condizione femminile, cita il cosiddetto gender pay gap, cioè il fatto che nei settori privati le donne, a parità di ruolo, siano pagate meno dei colleghi uomini. E poi «la resistenza a riconoscere l’autorevolezza femminile nei luoghi di comando. Ai vertici del nostro sistema sociale, economico, politico, scientifico, sportivo ci sono prevalentemente maschi. Pensiamo solo all’università: su 83 rettori, solo sei sono donne».
Quanto al nuovo libro, spiega, «è un atto di militanza e di ribellione». Dietro c’è anche la volontà di «fornire uno strumento a tutte le donne che ogni giorno, nella loro vita quotidiana, si confrontano con il sessismo. Tutte parliamo e ascoltiamo parole, il linguaggio è democratico. Cambiare le parole è cambiare la realtà».
Anche il mondo culturale, nota, «è uno dei più refrattari alle questioni del femminismo, perché parte dall’assunto assolutamente infondato di non essere sessista». Un esempio: i festival di cosiddetta letteratura femminile «quando invece una letteratura maschile non esiste ma viene considerata letteratura tout court».
Dal punto di vista personale, il soffitto pensa di averlo infranto, ma sente il dovere di non tacere «per le altre donne che hanno talento ma non riescono a esprimerlo, perché si trovano davanti non il muro del talento degli altri ma il muro del sessismo che tende a sottovalutare quello che sanno fare». Una linea “dura” per cui si pagano prezzi alti: «Quando ti esponi quotidianamente, attiri anche l’attenzione di tutti quelli che la pensano diversamente da te, specie se alla posizione femminista ne aggiungi una politica. Se arrivi a discutere i sistemi ideologici e non solo gli episodi, chi in quei sistemi ideologici si riconosce, inizia a vederti come un nemico, un bersaglio da abbattere». Ecco allora in rete le cosiddette shitstorm: «Centinaia, migliaia di persone attaccano i tuoi spazi pubblici con commenti volgari, violenti, spesso perseguibili legalmente. E io li perseguo tutte le volte che posso». Lo fa, spiega, «sia perché la violenza ti raggiunge in ogni caso, anche se sei forte, anche se ti difendi, ma soprattutto perché chi commenta in modo pacato si spaventa e finisce per tacere.
Io stessa a volte ho la tentazione di autocensurarmi. Ma poi mi dico: lo scopo è proprio farmi stare zitta. Per cui preferisco affrontare quella roba pensando che se nemmeno chi ha la forza reagisce, come può farlo una ragazzina di 14 anni nel suo liceo?». Inoltre, nota, «la Rete, per quanto abbia radicalizzato le posizioni, è comunque un luogo di conoscenza reciproca e di contatti, in cui troverai sempre qualcuna o qualcuno che combatte al tuo fianco». Per le giovani donne, conclude, «si apre un futuro complesso, sfidante, con molte opportunità da cogliere se saranno abbastanza decise da farlo. Non dovranno mai dimenticare che gli unici diritti che esistono sono quelli che restiamo in grado di difendere. Se dovessimo mollare anche un solo centimetro su cose che diamo per acquisite, ci verranno portate via».
*Il Corriere, 24 marzo 2021