N on ci sono spiegazioni economiche o finanziarie per quello che sta accadendo all’Italia in questi giorni. Per la prima volta in un decennio, il debito pubblico ha iniziato a scendere rispetto alle dimensioni dell’economia. Dal 2013 la spesa corrente dello Stato è stata tagliata di quasi il 3% del Pil e il surplus di bilancio, prima di pagare gli interessi, resta fra i più alti d’Europa. Anche nell’economia reale il quadro si presenta migliore di quanto non sia stato per molto tempo .
N aturalmente restano moltissimi problemi, li conosciamo tutti. Ma negli scambi con il resto del mondo l’Italia l’anno scorso ha registrato un surplus per 47 miliardi di euro e solo nei prodotti industriali e agricoli l’avanzo è stato di 56 miliardi. Da un po’ di tempo l’export ha iniziato a crescere più rapidamente di quello tedesco e l’anno scorso il «made in Italy» per la prima volta ha venduto, fuori dall’Europa, più del «made in France». Continuiamo così, e tra due o tre anni questo Paese può diventare un creditore netto verso l’economia internazionale: sarà più ciò che il resto del mondo deve all’Italia che ciò che l’Italia deve al mondo.
Eppure siamo qua, improvvisamente di nuovo nella morsa di un terribile panico finanziario. Ieri mattina nel mondo non c’erano quasi compratori per i titoli del debito italiano: in meno di due ore il crollo dei prezzi è stato più violento di qualunque episodio mai visto durante la drammatica crisi di qualche anno fa. All’inizio di maggio l’Italia riscuoteva ancora uno dei livelli di fiducia più alti di sempre, se lo si misura con i rendimenti del debito sovrano; da allora sono passate tre settimane, e non sappiamo per quanti giorni potremo continuare così. Com’è stato possibile?
La spiegazione stavolta è puramente politica. È stata mandata in pezzi, solo in Italia e ad opera di soli italiani, la garanzia fondamentale che aveva tenuto insieme il sistema per sei anni: il «whatever it takes», la certezza creata della Banca centrale europea di Mario Draghi che l’euro è irrevocabile. Che c’è oggi, ci sarà domani, non si tocca e non si toccherà. Gli investitori su titoli emessi in questo Paese — poco importa se essi stessi italiani o stranieri — non sanno più se quella sicurezza vale anche per l’Italia. Non sanno più se chi governerà sia determinato a far propria quella promessa e a onorare fino in fondo il debito secondo gli impegni. E poiché dubitano, si tengono alla larga: vendono Italia quando possono, e comunque evitano di comprare perché non intendono trovarsi esposti su un Paese che domani potrebbe rimborsarli in una moneta profondamente svalutata.
L’improvviso isolamento finanziario nasce da qui e non è difficile capire perché. Il Movimento 5 Stelle e la Lega hanno avuto il merito di capire meglio degli altri partiti che milioni di italiani oggi chiedono speranze concrete: non vaghe promesse sul futuro, ma prospettive immediate di migliorare il loro potere d’acquisto. Il problema nasce nel modo in cui le due forze hanno declinato il loro programma, quando è arrivato il loro turno. La prima bozza del «contratto» di governo, benché poi corretta, ha rivelato che i due gruppi avevano concepito l’idea di un’uscita dall’euro e di un default verso la Banca d’Italia per 250 miliardi. Anche la proposta dei cosiddetti miniBot, titoli di Stato di piccolissimo taglio utilizzabili come banconote, è stata vista come il varo di una moneta parallela. Infine l’insistenza per nominare ministro dell’Economia un anziano teorico del default dello Stato e dell’uscita dall’euro (da perseguire come piano segreto) ha solo minato le residue certezze. Anche perché quei partiti non hanno mai spiegato fino in fondo la realtà: uscire dall’euro obbligherebbe l’Italia a uscire anche dall’Unione Europea.
L’effetto tossico di quegli eccessi resta anche dopo che quel tentativo di governo è tramontato (almeno per ora), perché ormai le prossime elezioni si presentano ai mercati come un referendum sull’euro: sanno già cosa temere. Non serve a niente dare la colpa dei crolli dei mercati al Capo dello Stato, perché il dubbio non l’ha seminato lui.
Questa storia deve finire. Da stamani le forze politiche — tutte — devono prendere due impegni molto semplici ma solenni a difesa degli italiani: l’euro è irrevocabilmente la moneta dell’Italia e il debito sarà onorato, quindi ridotto. Dev’essere il minimo comun denominatore di tutti. Prendete quell’impegno. Prendetelo per i vostri elettori che hanno imprese, posti di lavoro, figli da crescere. Prendetelo per i cittadini che hanno risparmiato tutta la vita e vedono in pericolo il frutto della loro fatica, e per i giovani disoccupati che non vogliono trovarsi tagliati fuori dall’Europa. Prendete quell’impegno e dimostrate che fate sul serio, con programmi credibili e isolando le figure più equivoche fra di voi. Prendetelo oppure assumetevi fino in fondo la responsabilità di non averlo fatto.