L’epilogo del caso Bonafede era scontato. E sorprende che all’opposizione qualcuno sperasse davvero che Iv avrebbe provocato la crisi del governo. Se lo pensava, mostra un eccesso di ingenuità da parte di chi aspira a sostituire l’attuale maggioranza: sembra non conoscere le persone né le dinamiche politiche. Il «no» alle mozioni di sfiducia contro il Guardasigilli grillino da parte della destra e della lista di Emma Bonino conferma piuttosto lo stato di necessità col quale convive la coalizione; e la determinazione del M5S a ricompattarsi ogni volta che appare, anche in lontananza, il fantasma di elezioni anticipate; idem di Italia viva.
Vito Crimi, l’attuale leader del Movimento 5 Stelle, dichiara enfaticamente che è stato respinto un grave tentativo di destabilizzazione, riferendosi all’iniziativa di Lega, FdI e Pd, oltre che di +Europa. In realtà, l’offensiva contro Alfonso Bonafede è nata da uno scontro televisivo sconcertante tra un membro del Csm considerato in sintonia col Movimento, e lo stesso ministro, investito da accuse di una gravità estrema: sia per il ministro che le ha ricevute, sia per il magistrato che le ha lanciate. Quel tema rimane sullo sfondo, al di là del risultato di ieri in Senato e delle strumentalizzazioni inevitabili. E apre un’incognita nei rapporto tra grillismo e alcuni settori del mondo giudiziario. Anche se difficilmente la vicenda cambierà l’atteggiamento nel segno del giustizialismo del M5S. Né, sul versante opposto, l’appoggio di Matteo Renzi a Bonafede interromperà la guerriglia di Iv con l’esecutivo. Sono atteggiamenti fisiologici. Lo attraversano, apparentemente senza lasciare traccia.
Il coronavirus, d’altronde, è un’ottima ragione per farsi scivolare addosso accuse e critiche. L’azione di Palazzo Chigi si proietta principalmente suoi rapporti con l’Europa, e con qualche ragione. Le telefonate di Conte delle ultime ore ai vertici europei e dei Paesi alleati sono emblematiche. È da lì che possono arrivare aiuti finanziari e politici tali da disarmare le opposizioni; oppure scarti e chiusure nazionalistici in grado di restituire di rimbalzo forza e ruolo alla destra italiana. L’insistenza con la quale il premier chiede di rimpolpare il Fondo europeo per la ripresa, dopo avere detto all’inizio che 500 miliardi di euro erano un passo avanti, rivela una punta di delusione e di preoccupazione. E le reazioni ostili di alcuni Stati nordeuropei anche ai sussidi ridotti previsti da Germania e Francia confermano una frattura col Sud mediterraneo, visto come cronicamente insolvente. Il rischio per la stabilità non è sparito. Potrebbe rimbalzare sul piano interno, se si prolungasse il ritardo col quale vengono distribuiti gli aiuti promessi. Il disagio sociale è magma bollente.