«Ho voluto raccontare tre vite ai margini della nostra società che crea solitudini lancinanti»: e infatti l’ultimo noir di Massimo Carlotto va oltre i confini del genere e porta il lettore nell’esistenza di persone che si sono create una nicchia separata dal mondo per loro ostile. «La signora del martedì» racconta di un delitto attorno a cui ruotano un attore porno a fine carriera, un’assassina da prima pagina, un vecchio travestito che indossa abiti femminili solo al riparo della pensione che gestisce. Lo scrittore padovano risponde alle domande dell’Angolo del Circolo, lo spazio dedicato al pubblico del Circolo dei lettori di Novara che dialoga a distanza con l’autore.
Qual è stata l’ispirazione de «La signora del martedì»? (Elena Monfalcone)
«Ho voluto raccontare persone che si trovano ai margini anche se non sono emarginate perché vivono tra di noi, ma restano nascosti, clandestini a causa dell’identità o del passato. Li ho scelti a partire dal loro corpo e da un “uso sociale” che ne è stato fatto».
Si ha quasi l’impressione che lei si sia affezionato molto ai suoi personaggi e che abbia fatto fatica «a salutarli»: è così? (Gianna C.)
«Sì, è vero: sono molto legato a loro perché sono particolari. E questo mi ha messo in crisi perché molti lettori mi chiedono un sequel ed è una tentazione pericolosa. Io non voglio creare una serie».
Perché?
«Le serie sono complicate da portare avanti per tanti motivi. Un esempio: ho tenuto fermo l’Alligatore (l’investigatore protagonista di molti romanzi gialli scritti da Carlotto, ndr) per sette anni e un giorno, a Trieste, durante una presentazione un lettore mi ha rimproverato di questo dicendomi “Non puoi scrivere quello che vuoi tu”. E quindi ho deciso di chiudere questo romanzo subito».
Nel tratteggiare i personaggi si nota una particolare indulgenza verso i colpevoli e i perdenti che porta il lettore, se non a giustificarli, ad avere comprensione delle loro debolezze. (Giancarla Devecchi)
«Il tema del mio romanzo è la solitudine, una piaga del nostro tempo prodotta da una società che crea esclusi che chiamo “corpi di scarto”. Quindi vorrei che il lettore avesse verso di loro non proprio indulgenza ma rispetto. È molto difficile vivere in questo mondo diviso tra perdenti e vincenti perché se non stai dentro al meccanismo e tieni il passo, sei tagliato fuori e non esiste più un tessuto sociale solidale come un tempo».
A che tempo si riferisce?
«Penso a un periodo che arriva fino agli Anni Novanta quando è avvenuto un cambiamento radicale e tutto è così veloce che non abbiamo il tempo di fermarci a ragionare. Da allora abbiamo perso molti diritti relativi alla salute e all’istruzione e il vero problema è che ognuno vive tutto questo come un dramma singolo, lotta da solo. Pensiamo al corpo: siamo ossessionati dalla bellezza e dalla giovinezza e concepiamo la vita come se fossimo indistruttibili, come se la vecchiaia fosse una vergogna. E invece gli anziani sono il patrimonio di questo Paese».
Lei è anche giornalista e si è spesso schierato contro lo sfruttamento mediatico della cronaca nera: quali sono, secondo lei, le ricadute negative di tale fenomeno? (Raffaella Villa)
«I casi di cronaca nera diventano il grande gioco scaccia-ansia in cui ognuno diventa giudice, poliziotto, cane molecolare… Un passatempo accentuato dai social in cui ognuno sfoga le sue frustrazioni ma che purtroppo ha perso tutti i principi del diritto, che pure tv e giornali rispettano: la gente ragiona nella più completa ignoranza e questo sta creando danni gravi. La giustizia va fatta nelle aule dei tribunali e procure e giudici non devono essere condizionati dal furore del popolo dei social. Anche perché si spettacolarizzano fatti di cronaca che sono risibili rispetto alla grande criminalità legata ad esempio alla mafia o al traffico di droga».
Lei ha descritto con grande realismo le dinamiche sociali ed economiche del Nord-Est italiano. Alla fine, l’Alligatore mantiene ancora la speranza in una redenzione di quella società che lo ha ingiustamente fatto soffrire o la ritiene dannata per sempre? (Donatella Brusati)
«Dannata mai. L’Alligatore ama immensamente la sua terra e, come Sciascia per la Sicilia, ne parla male perché spera che reagisca e cambi».
Ci parla del rapporto tra la sua scrittura, o il suo Alligatore, con il blues e le signore del blues? (Gianni Marchetti)
«Nell’ultimo romanzo con l’Alligatore c’è una playlist di signore del blues perché ho cominciato ad ascoltare solo cantanti donne e mi sento più felice. Sono un grande appassionato di blues, ho ricevuto anche un premio per questo che mi ha reso molto orgoglioso, e cerco brani che siano legati alla pagina che sto scrivendo anche nel ritmo delle parole. Forse se ne accorgono in pochi appassionati ma a me piace molto».
Quali letture hanno costituito fonte d’ispirazione come scrittore? (Stefano T.)
«È difficile rispondere perché la letteratura è un accumulo continuo di idee e spunti, incontro maestri tutti i giorni. Sono andato a rileggere libri a cui ero molto legato da giovane ma che, 40 dopo, hanno un altro sapore. Posso dire che sono arrivato a questo tipo di letteratura partendo dai sudamericani e dai francesi come Chavarrìa e Izzo e non posso non rimanere legato all’hard boiled americano di Chandler, che anche riletto non delude mai».
Immagina che questo suo ultimo romanzo possa diventare un film? Da chi le piacerebbe che fosse realizzato? (Patrizia Pecetti)
«C’è un tentativo in questo senso e quindi non posso dire altro».
Come ha vissuto il lockdown?
«Osservavo da lontano perché mi trovavo in una valle laterale della Valpusteria, dove eravamo pochi e sani, ma era straziante vedere quello che accadeva e la narrazione ossessiva che veniva data con informazioni che cozzavano l’una con l’altra». —
*La Stampa, 23 Giugno 2020