Theresa May ha perso la sua scommessa: e ora la Brexit si trova di fronte a un bivio inaggirabile. Per la terza volta, il Parlamento di Westminster ha respinto l’accordo con Bruxelles, questa volta con un margine di 58 voti: 344 a 286. A nulla è valsa la promessa della premier di dimettersi a breve se l’accordo fosse passato: e non è servito neppure che i leader della fazione euroscettica all’interno dei conservatori, a partire da Boris Johnson, si fossero alla fine schierati a favore.
Pur mantenendo le loro riserve nei confronti dell’accordo, che considerano una «finta Brexit» fatta per intrappolare Londra nell’orbita della Ue, molti euroscettici si sono resi conto che il loro obiettivo primario, l’uscita dall’Europa, rischiava di allontanarsi per sempre: e allora si sono turati il naso e hanno votato a favore. Ma un nucleo duro ha rifiutato di piegarsi alle ragioni della Realpolitik: e decisiva è stata l’opposizione degli unionisti protestanti nordirlandesi, che temono la separazione dell’Ulster dalla Gran Bretagna se fosse dato corso all’intesa con Bruxelles, dato che prevede un regime speciale per l’Irlanda del Nord. Così il destino di Theresa May e del suo piano si è compiuto.
Ora gli scenari possibili sono due: come ha sottolineato la stessa premier intervenendo in Parlamento, la prospettiva automatica è che la Gran Bretagna si schianti fuori dalla Ue il 12 aprile, senza nessun accordo: è il temuto no deal, il divorzio catastrofico che infliggerebbe pesanti danni alle economie britannica ed europee. Infatti la Ue ha stabilito che la Brexit è rinviata al 22 maggio solo in presenza di un accordo approvato da tutte le parti: altrimenti il 12 aprile si stacca la spina. La stessa Commissione di Bruxelles ha commentato ieri che «il no deal è sempre più probabile». E in serata dagli Stati Uniti si è fatto vivo il consigliere di Donald Trump per la sicurezza nazionale, John Bolton: il Regno Unito non si preoccupi per un’uscita senza accordo — è il senso della sua dichiarazione — gli Usa non vedono l’ora di stipulare un accordo commerciale.
L’alternativa è che Londra chieda alla Ue una lunga proroga, almeno di un anno, magari anche due: ma in questo caso sarebbe costretta a partecipare alle elezioni europee di maggio, perché resterebbe membro effettivo dell’Unione. Una ipotesi dal sapore surreale, se si pensa che sono passati quasi tre anni dal referendum che ha sancito la volontà di uscire dalla Ue. E per di più che proprio ieri, 29 marzo, era la data originariamente fissata per la Brexit.
Non è un caso infatti che per tutto il pomeriggio il Parlamento di Westminster sia stato circondato da migliaia di manifestanti incolleriti: erano i sostenitori dell’uscita dall’Europa a tutti i costi, che si erano preparati per ieri a una giornata di festeggiamenti e si sono invece ritrovati in piazza a gridare «tradimento» all’indirizzo della classe politica.
Nel tentativo di uscire dal vicolo cieco, lunedì il Parlamento tornerà a esaminare delle ipotesi alternative sulla base delle quali riaprire un negoziato con Bruxelles. Già mercoledì i deputati avevano votato su otto varianti: e le avevano bocciate tutte, in un esemplare sfoggio di inconcludenza. Ma adesso lo scenario di una soft Brexit, una uscita morbida che preservi l’appartenenza al mercato unico e all’unione doganale, potrebbe riuscire a coagulare dietro di sé una maggioranza: e potrebbe essere una base da cui ripartire. La parola finale spetta agli europei, che si riuniranno per un vertice straordinario il 10 aprile a Bruxelles: dovranno decidere se staccare la spina e tagliare i ponti con la Gran Bretagna in maniera traumatica oppure concedere più tempo nella speranza che i britannici riescano a mettersi d’accordo fra di loro.
A Londra molti scommettono sul rinvio lungo della Brexit. Ma per fare cosa? L’ipotesi che sta prendendo sempre più piede è quella del ricorso a elezioni anticipate: lo ha fatto capire la stessa premier, dicendo che «stiamo raggiungendo i limiti di questo Parlamento». Ma se si andasse alle urne, a guidare i conservatori non sarebbe certo Theresa May: il cui tempo è ormai scaduto.30