Raccontare quei giorni drammatici in un libro è come partire per una spedizione in una terra poco conosciuta e ricca di sorprese. A cominciare dallo scenario in cui si è svolta la tragedia.
Roma all’epoca di Nerone (37 d.C.- 68 d.C.) era infatti una città molto diversa da quella che abbiamo tutti in testa. Non era ancora la città di marmi che tutti i turisti vengono ad ammirare. Non esistevano né il Colosseo né i Fori Imperiali e il Pantheon aveva un’altra forma, decisamente più anonima.
La capitale di Nerone ricordava più una città medievale, con vicoli stretti e tortuosi e con tanti edifici in legno altissimi e fatiscenti. Era una città costruita in modo caotico, senza razionalità, seguendo essenzialmente la morfologia del terreno.
Nell’Urbe spiccava per la sua imponenza il Circo Massimo, il più grande stadio della storia, capace di contenere, a seconda delle stime, da tre a cinque volte (e forse più) spettatori rispetto al Colosseo, a dimostrazione del fatto che la vera passione dei romani non erano i gladiatori, ma i cavalli e le corse dei carri.
Le innumerevoli arcate al piano terra del Circo Massimo erano in buona parte occupate da botteghe e magazzini, e questo ne faceva il principale «centro commerciale» della città. È qui che sareste venuti a fare acquisti a quell’epoca, magari mentre sulla sua pista correvano le quadrighe: i suoi negozi assieme a quelli del quartiere circostante costituivano una delle zone migliori di Roma dove fare shopping. Come scoprirete nel primo volume della Trilogia su Nerone, avreste trovato di tutto, dalle sartorie ai barbieri. La sera, invece, le atmosfere diventavano felliniane: a popolare le strade erano prostitute, astrologi e ubriachi che uscivano da bettole malfamate.
Proprio in una calda notte di luglio, da una delle arcate scoppiò un piccolo incendio, che ben presto diventò inarrestabile. A nulla servirono gli sforzi dei vigili del fuoco accorsi in massa. Iniziò così il gigantesco incendio di Roma del 64 d.C. In nove giorni distrusse gran parte della città uccidendo (forse) migliaia di persone.
È una delle tragedie più devastanti della Storia, perché a scomparire quasi del tutto fu la più popolosa città non solo dell’antichità ma di tutta l’umanità fino al secolo dei Lumi. Eppure è una vicenda della quale, stranamente, si e’ parlato poco.
Tacito, Svetonio e Cassio Dione solo anni dopo ci racconteranno l’incendio, fornendoci anche delle descrizioni tragiche sul destino di molti abitanti ma a parte questi racconti, non abbiamo altro su uno dei peggiori disastri di tutti i tempi. Come fare?
Ho cercato di ricostruire questa tragedia adottando un approccio multidisciplinare, come è sempre accaduto negli scavi e nelle spedizioni ai quali ho partecipato in passato, coinvolgendo esperti di settori diversi per analizzare e scoprire come l’incendio è scoppiato, qual è stata la sua (probabile) evoluzione in quei terribili nove giorni, e cosa si è cercato di fare per combatterlo.
Un po’ come in una indagine della scientifica sul sito di un crimine si è creato un gruppo di lavoro composto da vigili del fuoco, meteorologi, storici e archeologi che hanno effettuato scavi e scoperte relative al grande incendio stilando mappe sulla progressione delle fiamme. Sono stati presi in considerazione anche gli arredamenti dell’epoca, le strutture delle case, le distanze tra gli edifici, la morfologia dei quartieri, valutando i tempi di combustioni di oggetti casalinghi, la tenuta di volte e soffitti o velocità di propagazione delle fiamme. Abbiamo realizzato un racconto il più realistico possibile, basandoci su dati tecnici e storici. Ne emerge un vero «diario» dell’incendio attraverso le ore e i giorni di questa tragedia, compresa una sua temporanea quanto illusoria «fine» ad un certo punto. Ci tengo a sottolineare che si tratta di una ricostruzione ovviamente ipotetica ma è anche la più verosimile possibile di un evento di cui sappiamo pochissimo.
Mi è apparso subito evidente, mentre esaminavo tutti i dati e le informazioni relative all’incendio, il cui merito va a Emilio Quinto e al suo grande istinto di investigatore del passato, che un libro non sarebbe bastato. Le informazioni rintracciate, i personaggi realmente esistiti emersi dalla nebbia del tempo e le suggestioni che mi hanno colpito sono stati talmente numerosi che è nata l’idea di una trilogia, che ha una struttura molto precisa.
In un primo volume, L’ultimo giorno di Roma, vi porto alla scoperta dei vicoli dell’Urbe, della sua gente, della sua grandezza e delle sue miserie, con uno stile molto dinamico. La penna infatti diventa una telecamera che vi fa entrare nei negozi, nelle case, nei mercati e nei grandi palazzi scoprendo persone comuni e le loro abitudini. Già in passato avevo scritto un volume su Roma Antica ma questo è completamente diverso, direi complementare, sia per i luoghi descritti che per l’epoca: la città che vedrete non esiste più, è stata distrutta dell’incendio, inoltre è di un’epoca diversa.
La formula narrativa è quella di seguire due vigili del fuoco nella loro ronda quotidiana: attraversano la città nella parte Sud da Trastevere all’Appia. La parte Nord invece viene esplorata grazie a due distinti percorsi, quello di Plinio il Vecchio e quello del futuro imperatore Tito (all’epoca un promettente avvocato). Entrambi ci permetteranno di scoprire aree famose della città come la Suburra, il Foro Romano o il Campo Marzio… Ogni persona che incontrerete assieme a loro, dall’intellettuale in una libreria, al pretoriano sul Palatino, alla pescivendola che litiga sul pianerottolo di una casa popolare, è relmente vissuto a Roma in quel periodo. Tutto è frutto di una paziente ricerca su lapidi, iscrizioni funerarie o testi antichi.
Il secondo volume, già in fase di scrittura è dedicato all’incendio vero e proprio. Il terzo invece a ciò che venne dopo: la ricostruzione di Roma, la nascita della famosa Domus Aurea, il terribile martirio dei Cristiani e gli ultimi anni di vita di Nerone.
L’imperatore in realtà è già presente nei primi due volumi, ma è nel terzo che scopriremo la sua personalità e la sua vita. Si entrerà nella sua mente e nel suo mondo, conoscendo i suoi eccessi e anche chi gli era accanto, da Seneca a Poppea.
Con la «Trilogia di Nerone», ho voluto effettuare un viaggio in un mondo che non c’è più, ma che ha influenzato una parte importante della Storia.
Molte delle cose che vediamo oggi a Roma, e non solo, sono frutto indiretto di quel Grande Incendio: si pensi al Colosseo o a San Pietro.
La Basilica infatti che sorge sulla tomba di Pietro, ucciso durante le persecuzioni dei cristiani ingiustamente accusati di quella tragedia senza quell’incendio, e quindi senza la morte di Pietro, non sarebbe stata edificata nei secoli. Sarebbero sorti altri edifici così straordinari? Avrebbero avuto lo stesso peso nella storia? In fondo anche San Paolo è stato sepolto a Roma. Non è scopo della trilogia approfondire questo tema ma è lecito porsi questa domanda e chiedersi anche come sarebbe stata la storia nei secoli seguenti. Di certo oggi non potremmo ammirare i magnifici affreschi della Cappella Sistina o la cupola progettata da Michelangelo.
Oltre all’incendio il grande protagonista del racconto è Nerone, senz’altro uno dei personaggi più controversi e complessi della Storia.
All’epoca del Grande incendio aveva appena ventisette anni ma era il padrone del mondo. Il suo fisico aveva già perso l’agilità giovanile. Anni dedicati ai piaceri e al lusso lo avevano appesantito, sebbene non avesse ancora l’aspetto obeso e «vissuto» che ci tramandano i suoi ultimi busti di marmo o le fonti antiche.
Il giorno dell’incendio l’imperatore era in carica da dieci anni. Salito al trono giovanissimo, in pratica un teenager, durante i primi anni di regno era stato affiancato e «guidato» dal filosofo Seneca e dal prefetto del pretorio Afranio Burro, nonché dalla scaltra madre Agrippina, la vera artefice della sua salita al potere e di fatto, l’eminenza grigia del potere imperiale dietro molte delle sue decisioni fino al 59 d.C.
È facile immaginare quanto queste «briglie» stessero strette a Nerone. Gradualmente iniziò a eliminare tutti quelli che «frenavano» la sua libertà, persino la madre e Seneca, costretto al suicidio. Con il tempo tralasciò i suoi doveri di imperatore, appassionandosi sempre più allo sport e ai giochi olimpici greci, in particolare alle gare di quadrighe, dove i suoi avversari si fermavano per fargli tagliare il traguardo per primo.
Personalità complessa quella di Nerone, ma non ingenua. Sotto il suo potere l’Impero godette di in periodo prospero e sereno (tranne poche instabilità alle sue frontiere). Fu artefice di una delle più grandi riforme finanziarie della storia romana. La gente lo amava e non si lamentava mai per il pane, anzi si sentiva aiutata e protetta da lui. In effetti, grazie ad un’attenta organizzazione per rifornire Roma di grano, Nerone non fece mai mancare il pane ai Romani. Egli seppe con grande maestria costruire il suo consenso dando al popolo «panem et circenses» (pane e spettacoli), secondo la celebre espressione di Giovenale nelle sue Satire. Non deve sorprendere quindi che la sua popolarità rimase alta fino ai suoi ultimi mesi di vita.
Ma allora chi era Nerone? Un folle viziato, capriccioso e sadico come ce lo hanno descritto i suoi nemici e la tradizione cristiana? Oppure un Imperatore non peggiore di tanti altri ma che amava rompere gli schemi, quasi un ribelle della sua epoca, presentandosi con i capelli lunghi (quasi fosse un ragazzo degli anni ’70) oppure partecipando a sedute ufficiali con uno stile «bohémien» a piedi nudi, con la sola tunica e un fazzoletto attorno al collo?
In realtà è una figura quasi inafferrabile per gli studiosi moderni. Ma una cosa sostiene ormai la maggioranza degli storici: non sarebbe stato lui ad appiccare l’incendio di Roma. E allora chi?
Seguendo i due vigili del fuoco nella loro ronda troverete la risposta…
*Alberto Angela, La Stampa, Il 28 novembre 2020