Come previsto, la Commissione europea ha annunciato ieri che una procedura per debito eccessivo ai danni dell’Italia «è giustificata». A questo punto il dossier passa ai governi europei che dovranno dire la loro e chiedere l’apertura formale di un iter mai utilizzato finora, particolarmente lungo e invasivo. Nel pubblicare nuove raccomandazioni-paese, Bruxelles ha chiesto tra le altre cose nuovi sforzi per modernizzare il paese, anche promuovendo maggiore concorrenza ed efficienza.
Il rapporto approvato dal collegio dei commissari è di 23 pagine, una radiografia tanto minuziosa quanto deprimente non solo dell’andamento del debito pubblico, ma anche delle scelte controverse adottate dai più recenti governi italiani, in particolare l’esecutivo guidato dal premier Giuseppe Conte e sostenuto da una maggioranza Lega-M5S. Limitare l’indebitamento è un impegno di ogni paese per garantire la stabilità finanziaria della zona euro.
Nella relazione, la Commissione giunge alla conclusione che una procedura per debito eccessivo «è giustificata» per almeno tre ragioni: il non rispetto del risanamento minimo dei conti pubblici previsto dalle regole europee; un peggioramento del debito pubblico solo in parte spiegabile dalla frenata economica del 2018; e infine «un progresso limitato» nell’adottare le raccomandazioni-paese dell’anno scorso, cosi come un allentamento delle riforme favorevoli alla crescita adottate in precedenza.
A questo riguardo, l’esecutivo ha pubblicato ieri anche nuove raccomandazioni-paese, che devono servire a guidare la politica economica nei prossimi mesi. Oltre a chiedere all’Italia una riduzione del deficit strutturale (dello 0,6% nel 2020) e della spesa statale (0,1%) e quindi del debito pubblico, Bruxelles suggerisce di lottare contro l’evasione fiscale, il lavoro nero, l’inefficienza amministrativa, le lentezze processuali, e di continuare la ristrutturazione dei bilanci bancari.
Tornando al debito, il rapporto contiene dati eclatanti. Molti sono noti, altri invece non lo sono. Bruxelles calcola il divario tra gli impegni di riduzione del debito e gli obiettivi raggiunti o da raggiungere. Le cifre sono impressionanti. Il gap è stimato del 5,8% del Pil nel 2016, del 6,7% nel 2017, del 7,6% nel 2018, del 9% nel 2019, e infine del 9,2% sempre del Pil nel 2020 (a titolo di confronto, il 9% del Pil 2018 o 2019 equivale in valore assoluto a circa 160 miliardi). In buona sostanza, il ritardo nel risanare i conti è un impegno mancato che il Paese si trascina da anni (si veda Il Sole 24 ore di ieri).
In questo senso, la Commissione critica la recente riforma pensionistica che comporterà incrementi di spesa nel 2019 dello 0,3% del prodotto interno lordo. Il rischio, secondo le autorità comunitarie, è «di mettere ulteriormente in dubbio la sostenibilità a lungo termine del debito italiano». Cifre del passato alla mano, la Commissione esprime dubbi anche per quanto riguarda la capacità del governo Conte di introdurre le previste operazioni di privatizzazione.
Peraltro, l’Italia ha fatto poco per riformare l’economia, condizione per rilanciare la crescita e ridurre il debito. Come tale, agli occhi di Bruxelles, il rallentamento registrato nel 2018 spiega solo in parte l’aumento del debito pubblico negli ultimi anni. Nel 2004-2018, la crescita italiana è stata pari allo 0,1% annuo, rispetto a una crescita media nel resto della zona euro dell’1,5 per cento. In filigrana, la Commissione fa capire che senza una riduzione del debito la crescita è destinata a rimanere terribilmente flebile.
Il rapporto comunitario sarà analizzato a livello tecnico dai tesori nazionali e poi dagli stessi ministri delle Finanze (che prenderanno la decisione a maggioranza qualificata). L’esito finale dipenderà dalle scelte italiane. Per sperare di evitare il peggio, il governo dovrà mettere mano ai conti pubblici di quest’anno (il divario rispetto alle attese è di circa lo 0,5% del Pil) e presentare una Finanziaria convincente per l’anno prossimo. Lo vorrà? Lo potrà? Anche i mercati saranno chiamati a dire la loro.