Eugenio Raspi parte dalla sua storia, da un paese di mezzo (Narni, in Umbria) per compiere un romanzo fatto di incroci: il vecchio e il nuovo, la rocca e la ciminiera, la natura e il cemento, la fabbrica e il parco divertimento, il padre e il figlio. Intorno una comunità divisa, rancorosa, sfiduciata. In mezzo i lavoratori: giovani e meno giovani, tutti a cercare quello che sembra finito in una miniera abbandonata.
Raspi scrive romanzi “politici” e “Tutto fumo” lo è ancor di più: pagine di contestazione, capitoli che gridano, frasi che impegnano all’impegno civile. Lui individua nel capitale, nelle multinazionali, nella finanza le colpe del risucchio in cui il lavoro si perde. Il romanzo si muove in un riscatto cercato e trova nei fili della famiglia l’annodatura della sopravvivenza. Ma Raspi mette l’accento su una responsabilità che va oltre l’individuo, o meglio, va a braccetto con l’individuo.
Una società personalizzata ha messo sulle spalle dei singoli tutta l’ansia del risultato, dell’esistere. Gli effetti si vedono: una società eccitata che diventa sempre più rancorosa e atomizzata. Il ritorno al binomio persona-comunità, è l’unica via che tenta un riequilibrio; ri-centra tutta l’angoscia di cui questo mondo si è fatto carico. La voce di Raspi si alza nitida e ci lancia questo appello: responsabili del nostro destino, insieme e “senza aiuti”.