Dopo un iniziale, timido recupero nel 2014, negli ultimi tre anni (2015-2017) il valore aggiunto della industria manifatturiera italiana è sempre regolarmente aumentato di più del valore aggiunto delle manifatture francese e britannica e in due anni su tre (il 2015 e il 2017) anche di più di quello della manifattura tedesca.
Nel 2017 i dati sono stati i seguenti: Italia +3,8%, Germania +2,7%, Regno Unito +2,3%, Francia +1,7%.
In seguito a ripetute revisioni, l’Istat ha restituito un quadro progressivamente sempre più veritiero di quanto è realmente accaduto alla nostra manifattura, molto differente rispetto alle prime stime, che parevano deludenti.
Tra la prima e l’ultima revisione, infatti, la crescita del settore manifatturiero italiano del 2014 è stata rivista al rialzo dall’Istat dell’1% tondo; quella del 2015 dell’1,3%; quella del 2016 dell’1,5%; e, infine, quella del 2017, a distanza di soli pochi mesi (cioè dalle prime stime di marzo di quest’anno alla ultima revisione del settembre scorso) addirittura dell’1,8 per cento.
Sull’arco del quadriennio 2014-’17, in base agli ultimi dati, il valore aggiunto del settore manifatturiero italiano è aumentato cumulativamente del 10%, cioè oltre due volte e mezza di più del Pil (+3,8%): un incremento più o meno analogo a quello sperimentato dal commercio (+10%) e dai servizi di alloggio e ristorazione (+10,7%).
La manifattura, anche per il suo rilevante indotto, nonché per il suo maggior peso sul valore aggiunto totale rispetto agli altri due settori citati e per lo straordinario apporto dato al commercio estero, è stata il vero emblema della riscossa della nostra economia dopo la lunga crisi 2008-2013: il motore di un’Italia che non è affatto fanalino di coda in Europa ma la punta di diamante di quel mezzo nostro sistema economico (che abbraccia anche l’industria estrattiva, le attività artistiche, noleggi, leasing, ricerca del personale, agricoltura, attività immobiliari, attività legali, ingegneria) che ha saputo crescere in media del 7,4% nel quadriennio 2014-’17, cioè quasi il doppio del Pil.
Per contro, un’altra mezza Italia (che comprende l’intero settore pubblico, l’edilizia, il settore bancario e finanziario e i settori infrastrutturali e di servizio, dall’energia elettrica al gas, dai trasporti all’acqua e ai rifiuti) è addirittura arretrata un po’ nello stesso periodo, facendo registrare un -0,6% medio.
Se, dunque, il Pil italiano cresce poco, al di là del nostro calo demografico che molto ci penalizza rispetto agli altri Paesi Ue, non è perché l’Italia nel suo complesso non sa fare genericamente di più, come se essa fosse una sorta di pesante monolite, ma perché la nostra economia è divisa letteralmente in due, con metà del sistema produttivo che viaggia su livelli europei e l’altra metà che è ferma.
Prendere atto di questa spaccatura è molto importante se si vogliono attuare politiche che facciano crescere di più il Paese nella sua globalità,sostenendo con ancora più forza i settori che trainano l’economia (come hanno fatto il super ammortamento e il Piano Industria 4.0), ma anche affrontando i ritardi che frenano il resto del sistema produttivo (partendo da burocrazia, tempi delle autorizzazioni e della giustizia, digitalizzazione della Pa, servizi pubblici locali, centri per l’impiego, formazione professionale e istituti tecnici superiori).
La necessità di porre la manifattura sempre più al centro di un disegno di sviluppo dell’Italia (assieme al turismo e all’agricoltura di qualità) appare chiara non solo dai successi del settore manifatturiero nel suo insieme e delle sue industrie più performanti, tra cui i mezzi di trasporto (+42,8% in quattro anni, rispetto al 2013), i prodotti in metallo (+13,8%), la farmaceutica (+12,4%), la chimica (+12,3%) e l’alimentare (+9,9%), ma anche dalla spinta che la manifattura ha dato al nostro commercio estero in questi anni.
Infatti, il surplus manifatturiero italiano, oggi il quinto al mondo, è quasi raddoppiato in dieci anni, passando dai 53 miliardi di euro del 2007 ai 97 miliardi del 2017.
Nel contempo, la posizione finanziaria netta dell’Italia sull’estero, cioè il nostro indebitamento complessivo (pubblico e privato) con il mondo, grazie soprattutto ai miglioramenti della bilancia commerciale è migliorata considerevolmente, scendendo dal -23% del Pil del 2013 al -7% del 2017: un dato oggi di gran lunga migliore di quello del Regno Unito (-8%), della Francia (-20%) e della Spagna (-81%).