I venti di guerra nel Movimento 5 Stelle contro la struttura tecnica del ministero dell’Economia non hanno cambiato granché. Al massimo, hanno trincerato ciascuna delle parti sulle proprie posizioni. Il ministro Giovanni Tria sembra ancora deciso a presentare una legge di Stabilità con l’obiettivo di un deficit non oltre l’1,6% del Prodotto lordo (Pil) per il 2019, perché questa resta l’unica strada in grado di garantire che non ci sia uno scontro istituzionale con la Commissione Ue. Quello è l’unico livello di disavanzo al quale si può ottenere un calo anche minimo del deficit «strutturale», lo zoccolo duro del bilancio al netto delle fluttuazioni transitorie.
I mercati accetterebbero anche un risultato meno stringente, ma per l’Unione Europea resta l’obiettivo che il premier Giuseppe Conte ha accettato senza riserve a giugno: un calo del deficit «strutturale» dello 0,6% del Pil per il 2019. Quello è l’impegno che il presidente del Consiglio ha sottoscritto al Consiglio europeo e su quel metro sarà giudicato il bilancio dell’Italia. Nessuno prevede che venga rispettato in pieno, ma un passo in quella direzione resta necessario anche perché a Bruxelles e nelle altre capitali europee l’interesse politico a piegare le regole a favore dell’Italia sta evaporando. Se la Commissione Ue respingesse la legge di Stabilità del governo Conte, è vero, M5S e Lega farebbero di quella rottura uno strumento di campagna elettorale in vista delle Europee. Ma se Bruxelles si piegasse anche a una forzatura da parte di Roma, di fatto darebbe ragione ai metodi di un governo che scarica sull’Europa ogni sorta di accuse. Nessuno ha dimenticato il giorno in cui il vicepremier Matteo Salvini accusò l’Ue persino per il crollo del ponte di Genova. E molti hanno voglia di far capire che questa retorica, alla fine, non funziona.