Un vertice in programma oggi, un numero — quello del 2,4% sul rapporto deficit-Pil — e una giornata ricca di colpi di scena nello scacchiere di governo. L’accordo sulla manovra fa vivere ore febbrili all’esecutivo. Il Tesoro resta fermo sulle sue posizioni di una misura con parametri sotto il 2%, ma a fine serata l’asse Lega-M5S conferma l’intesa dopo una riunione-fiume del Carroccio. È Matteo Salvini ad annunciarlo: «L’accordo c’è, lo zero virgola è l’ultimo dei problemi, nessuno fa o farà gesti eclatanti per uno zero virgola».
Il leader leghista, in realtà, è appena uscito da un lungo vertice, necessario per convincere — sotto un forte pressing del Movimento — l’ala più riottosa del suo partito a passare l’asticella del 2%. E sono proprio fonti leghiste a ribadire che «il 2,4% è indicativo, ma di sicuro si andrà oltre alle soglie più rigide». E anche il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, da New York non si sbilancia: «Non do numeri sino a quando non delibereremo. Lo saprete dopo il Consiglio dei ministri».
La riunione-chiave per la legge di Bilancio, il ventunesimo Consiglio dei ministri, è in programma oggi nel tardo pomeriggio (ma fonti di governo danno versioni contrastanti sul fatto che alla fine il summit venga confermato) e dovrebbe seguire un vertice ristretto a cui parteciperanno lo stesso Conte, Luigi Di Maio, Matteo Salvini, Giovanni Tria e — molto probabilmente — Laura Castelli e Giancarlo Giorgetti. L’ago della bilancia si sposta nei rapporti sempre più freddi con il ministro dell’Economia, che ieri parlando alla platea di Confcommercio ha lanciato il suo affondo: «Ho giurato nell’esclusivo interesse della nazione e non di altri e non ho giurato solo io» (a cui in serata Salvini ha replicato: «Anch’io sono fedele all’interesse della nazione, che è che la gente torni a lavorare e pagare meno tasse»).
Parole, quelle di Tria, che danno il segno della distanza tra le posizioni in seno all’esecutivo. Uno scontro — sotto l’occhio vigile del Quirinale — che lascia aperta ogni soluzione. Da ambienti governativi, filtra la convinzione che il ministro «dovrà accettare o lasciare».
Di Maio e Salvini sono convinti della manovra e hanno fissato da tempo i paletti: reddito (e pensioni) di cittadinanza, superamento della legge Fornero e flat tax. Dietro le quinte dell’intesa ci sarebbe proprio il forte pressing dei Cinque Stelle. «Non siamo certo entrati in Parlamento per sostenere linee d’austerity», dicono i pentastellati. E mettono in chiaro: «Non si tratta delle virgole, ma delle misure che per noi sono fondamentali. Più coperture trova il ministro meglio è, ma quelle misure non si toccano». A fare da sponda al Movimento anche Conte: «Non considero, prima ancora che politicamente, moralmente accettabile un’azione di governo che non si preoccupi adeguatamente di assicurare a tutti i cittadini condizioni di vita eque e pienamente dignitose».
Nel mirino il «taglio trasversale» — come viene definito da alcuni pentastellati — delle risorse da destinare a reddito di cittadinanza e superamento della Fornero. Proprio su quest’ultimo punto si sarebbe levato lo scudo del Movimento nelle ultime ore nei confronti del Tesoro. «Non si tratta di scegliere tra reddito e Fornero: deve essere chiaro che per noi sono fondamentali entrambe. Non esiste l’idea di scegliere tra due opzioni», ripetono i pentastellati. «Se non verremo ascoltati, siamo pronti per ogni soluzione», ripetono.
Un messaggio che sembra diretto a Tria e rende ancora più stretta la via per il ministro. Tra le ipotesi caldeggiate dai tecnici che circolano in queste ore ci sarebbe anche quella di indicare nel Def la percentuale dell’1,9% e poi alzarla già con la risoluzione parlamentare al Def.