Giovanni Tria, 69 anni, è un professore dal sorriso ironico dietro il quale s’intuisce la capacità di irrigidirsi per le cose in cui crede. Si scusa di non avere un biglietto da visita da ministro dell’Economia («non ho avuto il tempo di farlo»): da quando è entrato in via XX Settembre non ha fatto che controllare dati e dossier.
Ministro, l’esordio del governo è difficile. I rendimenti dei titoli di Stato sono molto staccati da Spagna e Portogallo. Sulle scadenze brevi c’è stato il sorpasso della Grecia. Come lo spiega?
«La situazione è complessa in generale, sui mercati internazionali. C’è un aumento del prezzo del rischio e della volatilità ovunque. Su questo sfondo è normale che ci possano essere apprensioni in un momento di forte svolta politica in Italia. Ma i fondamentali della nostra economia sono a posto».
Gli investitori non sembrano crederlo.
«Stiamo ai fatti. Negli ultimi 25 anni, l’Italia ha un avanzo primario(prima di pagare gli interessi, ndr) fra i più alti d’Europa. Non ci si può accusare di politiche di bilancio avventurose. Ci portiamo dietro un debito che viene da lontano, certo. Ma abbiamo una posizione finanziaria netta con l’estero ormai quasi in equilibrio, quasi tanti crediti quanti debiti, e di questo passo saremo creditori netti sul resto del mondo in pochi anni. Vantiamo un avanzo significativo negli scambi con l’estero. Sono elementi oggettivi da crisi finanziaria? Direi di no. Mi spiego questa fase con i normali interrogativi che accompagnano una transizione politica».
Vari esponenti della maggioranza dicono: «Non vogliamo uscire dall’euro». Ma ciò non esclude l’uscita se il mercato portasse lì. Siete determinati a garantire il futuro dell’Italia nell’euro?
«La posizione del governo è netta e unanime. Non è in discussione alcun proposito di uscire dall’euro. Il governo è determinato a impedire in ogni modo che si materializzino condizioni di mercato che spingano all’uscita. Non è solo che noi non vogliamo uscire: agiremo in modo tale che non si avvicinino condizioni che possano mettere in discussione la nostra presenza nell’euro. Come ministro dell’Economia ho la responsabilità di garantire, su mandato del governo, che queste condizioni non si verifichino. Le dichiarazioni del presidente del Consiglio sono su questa linea e il governo nel complesso è responsabile verso il Paese».
Le danno noia le dichiarazioni dei politici che muovono il mercato contro l’Italia?
«All’avvio di un governo un dibattito politico vivace è normale. C’è una coalizione con vari punti di vista che si confrontano. È un assestamento iniziale. Ma c’è un programma e bisogna fare attenzione soprattutto a quello che dice e fa il governo, a partire dal presidente del Consiglio».
L’Ageing Report Ue mostra che la sostenibilità del sistema pensioni in Italia è peggiorata. Davvero è il caso di tornare indietro sulla riforma Fornero?
«Conosco quel rapporto e sono consapevole dell’esigenza di assicurare la sostenibilità di lungo termine della finanza pubblica. La legislazione sul sistema pensioni richiede di guardare non solo al breve, ma anche al medio e soprattutto al lungo termine. Credo che la nostra legislazione pensionistica possa essere migliorata, ma lo si farà con l’attenzione alla sostenibilità. Anche quella di lungo termine. Studieremo dei miglioramenti, sapendo che su queste materie non si improvvisa».
Ma gli impegni annunciati sono già molti: 12 miliardi per cancellare l’aumento Iva, 2 per i centri per l’impiego, 5 sulle pensioni, poi c’è il varo della cosiddetta «flat tax». Dove andrà il deficit 2019, entro il 2% del Pil, entro il 3%?
«Il governo si è appena insediato, non sarebbe serio indicare numeri prima di un riesame complessivo. I nuovi conti saranno presentati con la nota di aggiornamento del Def in settembre. Ma questi conti saranno del tutto coerenti con l’obiettivo di proseguire sulla strada della riduzione del rapporto debito/Pil. È un obiettivo esplicito del governo, su cui ci sono state dichiarazioni chiare del presidente del Consiglio. Non devono esserci dubbi. In ogni caso la preparazione della nota seguirà a un dialogo costante con la Commissione Ue, ovviamente. Come sempre».
Ha iniziato a lavorare sulle coperture? Alla pace fiscale? E quanto spazio vede per lavorare per esempio riducendo deduzioni e detrazioni?
«Sulla pace fiscale dobbiamo fare i conti e simulare ciò che è possibile ottenere. Finché non si definisce la norma non si possono definire le coperture o il gettito. Per deduzioni e detrazioni, ho già avviato un’analisi e simulazioni. Per alcune di queste tax expenditures bisogna vedere bene cosa sono per valutarne l’impatto sociale. Altre sono parte della politica industriale e hanno impatto sulle imprese. Bisogna vedere la situazione nel complesso. Vorrei però aggiungere qualcosa».
Dica, professore.
«Non dobbiamo discutere solo di singoli impegni di spesa, legati a singoli punti di programma e alla ricerca di singole coperture, al netto del fatto che su ogni norma ci dev’essere una copertura anche per obblighi costituzionali. È più importante il complesso della manovra: nell’ambito dell’obiettivo di riduzione del debito e di quello del deficit, la manovra rifletterà le scelte di fondo su come e quando attuare il programma».
Che intende dire?
«Bisogna richiamare l’attenzione sulla logica complessiva. L’obiettivo è la crescita e l’occupazione. Ma non puntiamo al rilancio della crescita tramite deficit spending. Abbiamo un programma imperniato su riforme strutturali e vogliamo che agisca anche dal lato dell’offerta, creando condizioni più favorevoli all’investimento e all’occupazione. Nella nota di aggiornamento al Def vi invito a non guardare solo i conti, ma anche al piano nazionale di riforme».
Quel piano è un altro dei tanti vincoli burocratici europei?
«Guardi, l’attenzione a tenere i conti in ordine e a far scendere il debito non è opportuna perché ce lo dice l’Europa, ma perché non è il caso di incrinare la fiducia sulla nostra stabilità finanziaria. Quella fiducia è il presupposto della nostra strategia».
Poi il resto come si sviluppa?
«È centrale il rilancio degli investimenti pubblici, decisivi per rafforzare la competitività complessiva del Paese. Non rilanciano solo la domanda, ma aiutano a far crescere il rendimento atteso del capitale privato, dunque portano anche più investimenti privati».
Hanno senso anche grandi opere come la Tav o il Tap?
«Gli investimenti pubblici sono un volano per la crescita di medio e lungo periodo. Questo è il significato di una forte azione su questo fronte. E per garantire il rilancio in una prima fase non è determinante la disponibilità di risorse finanziarie aggiuntive».
Cioè si usano i fondi europei e i fondi nazionali già stanziati?
«Ci sono varie risorse. Ma per avere credibilità in Europa serve una decisa eliminazione degli ostacoli all’esecuzione degli investimenti: ostacoli procedurali, normativi o dovuti al mancato rafforzamento della capacità tecnica delle amministrazioni. Stiamo già pensando a una task force che agisca su queste questioni al più presto. Bisogna sciogliere i nodi amministrativi e ripristinare la capacità tecnica delle amministrazioni di progettare e eseguire i lavori. Negli ultimi decenni era stata pressoché distrutta».
L’obiettivo di un calo del debito nel 2018 e nel 2019 resta?
«Confermo che questo è l’obiettivo. Per quest’anno è già tutto determinato e presidierò perché nulla cambi. L’obiettivo per il 2019 è di proseguire. Ovviamente sul modo in cui si rispetterà l’impegno conteranno anche le nuove stime sull’andamento dell’economia».
Teme un rallentamento?
«Non abbiamo ancora fatto le nuove stime».
Mario Monti parla da anni di scomputare gli investimenti dal patto di Stabilità. Che ne pensa?
«Lo sto scrivendo dagli anni 90. Il problema è che anche se si togliessero dal calcolo del deficit con un accordo europeo, ci verrebbe consentito di spendere di più ma avremmo lo stesso un impatto sul debito. Certo, un conto è un percorso di riduzione del debito con un bilancio squilibrato dal lato della spesa corrente, un altro è un debito che scende più lentamente perché aumenta la spesa per investimenti. Per la fiducia meglio il secondo».
Sembra che più che alle regole lei guardi ai vincoli di fatto del mercato.
«Guardo a entrambi. Dobbiamo liberare risorse entro un vincolo di credibilità. Il debito italiano è pienamente sostenibile, tutti gli organismi internazionali lo dicono. Bisogna solo evitare che si creino momenti di sfiducia dovuti a fattori non basati sui fondamentali».
Sa cosa si teme a Berlino? Che l’Italia cerchi di forzare in Europa minacciando una crisi sul suo debito, se i partner non le concederanno i margini.
«Ho già parlato con il mio collega tedesco Olaf Scholz. In Europa si discute, non si minaccia. E non si accettano minacce, da parte nostra e da parte degli altri. Penso che il dialogo sarà fruttuoso se ogni Paese, compresa l’Italia, saprà chiarire le proprie ragioni ma anche considerare quelle degli altri. L’obiettivo è di far valere gli interessi nazionali che coincidono con l’interesse complessivo dell’Europa. Se tutti giocano così, la convergenza sarà facile. Il mio compito è convincere i partner che la difesa che farò degli interessi nazionali – io ci credo – sia nell’interesse dell’Europa nel complesso. Non credo che il dialogo non sia possibile. Si tratta di ripristinare un circuito di fiducia reciproca».
La Francia vuole un’assicurazione comune sui depositi e un bilancio dell’area euro per investimenti. La Germania una vigilanza sulle economie in mano a un Fondo monetario europeo e procedure di ristrutturazione dei debiti. E l’Italia?
«Scholz ieri ha detto che al debito italiano devono pensare gli italiani: ha del tutto ragione. Su ciò che propone la Francia, siamo d’accordo. Vogliamo anche andare avanti su tanti aspetti del programma della governance europea e dell’unione bancaria. Dico solo questo: quanto alla vigilanza sulle economie, la Commissione Ue ha fatto un ottimo lavoro, non vedo perché sovrapporre l’azione di un Fondo monetario europeo. Più in generale, non accetteremo misure che, anche se in modo non intenzionale, possono causare instabilità finanziaria. In Italia parliamo dell’eterogenesi dei fini: stiamo attenti a evitare le profezie che si auto-avverano. L’Italia è impegnata a ridurre il debito ma perché questo processo prosegua non possiamo accettare proposte che potrebbero causare instabilità e allontanare l’obiettivo. Su questo saremo rigidi. Non possiamo accettare proposte che minino la fiducia nella sostenibilità del nostro debito».
Salderà i debiti commerciali emettendo mini-Bot tipo «moneta parallela»?
«L’idea segnala un problema vero: i debiti dello Stato verso le imprese. Credo che il modo migliore di affrontarlo sia eliminarlo alla radice, far sì che i pagamenti siano fatti nei tempi previsti e in denaro. Con soluzioni tampone non si risolve nulla».
Tornerete indietro sulla riforma delle banche popolari e delle Bcc?
«Il governo si è appena insediato e il tema non è stato trattato. C’è sempre bisogno di rafforzare il settore bancario, ma passi avanti ci sono stati. Le sofferenze sono già diminuite del 25% nel 2017. Se ci sono elementi per rafforzare il sistema si vedrà, ma non mi sembra il primo problema da affrontare. Voglio ricordare che abbiamo partecipato ad aiuti per contribuire alla stabilità finanziaria europea, non abbiamo mai chiesto un euro dagli altri».
Se il governo spingesse Cdp a giocare un ruolo molto attivo, Eurostat potrebbe consolidare Cdp nei conti dello Stato e il debito salirebbe del 10%. La preoccupa?
«Cdp deve promuovere lo sviluppo, ma nel rispetto di una gestione sana e attenta al conto economico. Per quanto mi riguarda non è in discussione la sua permanenza fuori del perimetro dello Stato».