Giovanni Tria è volato ieri a Washington, agli incontri del Fondo monetario internazionale, sapendo che lo aspettano altri giorni complicati. Da quando è uscito dal Consiglio dei ministri l’altra sera, il ministro dell’Economia si rende conto che già oggi o domani Pierre Moscovici vorrà chiedergli spiegazioni.
L’argomento delle conversazioni con il commissario Ue agli Affari economici è scontato: appena quattro mesi fa l’Italia aveva raggiunto un accordo con la Commissione europea su un percorso di contenimento del deficit, un patto che ha permesso al Paese di evitare una procedura per violazione delle regole di bilancio. Moscovici, il vicepresidente della Commissione Valdis Dombrovskis e il presidente Jean-Claude Juncker avevano messo in gioco la loro credibilità per evitare l’affondo sull’Italia, proprio mentre da molte capitali d’Europa si chiedeva loro di non fare troppe concessioni. Ancora oggi il parlamento dell’Aia è in rivolta contro quel compromesso e, mentre discute poco del ruolo dell’Olanda come paradiso fiscale, sulle fragili promesse italiane minaccia di sollevare un caso in Europa.
La tattica
Il responsabile
del Tesoro cercherà
di prendere tempo
sulla «tassa piatta»
Sono passati appena quattro mesi da quei giorni drammatici, poco più di tre da quando l’Italia ha preso un impegno formale con Bruxelles. Ma tutto è già tornato in gioco nelle capriole della politica a Roma, proprio come se quegli impegni presi dal governo a Bruxelles una decina di settimane fa non fossero mai esistiti. Non ci sono solo quei 23 miliardi di aumenti automatici dell’imposta sui consumi (Iva) e sulle accise che i leader di Lega e M5S hanno subito detto di non voler far scattare. C’è soprattutto il resto: nessuna idea su come sostituire i rincari delle imposte indirette e soprattutto, all’improvviso, anche il progetto di un altro grosso taglio alle tasse sulle persone. La nuova promessa della Lega di una «tassa piatta» sui ceti medi. L’Irpef, l’imposta sulle persone fisiche, garantisce ben più di un terzo dei circa 450 miliardi di entrate fiscali dello Stato: volerla ridurre senza spiegare come coprire il buco, quando ce n’è già un altro da 23 miliardi che incombe, oggi suona agli interlocutori europei di Tria come un inaspettato voltafaccia sugli impegni presi.
L’ira dell’Olanda
A Bruxelles l’Olanda minaccia di sollevare un caso sulle «fragili» promesse dell’Italia
Moscovici e forse anche Dombrovskis ne parleranno con il ministro nelle prossime ore per cercare di capirci di più. Quanto a Tria, che evita quanto può di fare commenti in pubblico, si rende conto per primo di due realtà che si impongono sul suo lavoro. La prima riguarda le clausole «di salvaguardia», che dovrebbero far salire Iva e accise per 23 miliardi dal primo gennaio: quell’aumento sarebbe davvero troppo pesante per un’economia che forse solo adesso sta uscendo da nove mesi di recessione; anche il ministro sa che parte di quei 23 miliardi rischia di trasformarsi di deficit e debito in più l’anno prossimo, ma un’altra parte va coperta in qualche modo. Ma è sul secondo argomento che probabilmente anche Tria non avrà risposte precise, al momento, per Moscovici: l’idea di una «tassa piatta» sui redditi dei ceti medi, che in teoria dovrebbe aggiungersi a tutto il resto. Su quello il ministro cercherà solo di prendere tempo con i suoi interlocutori, anche perché al momento non c’è una sola stima.
Moltissimi banchieri e gestori di fondi privati nei giorni scorsi hanno già chiesto di vedere i responsabili della delegazione italiana, in questi giorni nelle riunione al Fmi. Si rendono conto tutti che lo spread, i rendimenti del debito a dieci anni rispetto ai titoli tedeschi, è ormai doppio rispetto a quello del Portogallo. Persino Malta e la Slovenia, i cui titoli sono del tutto illiquidi e difficili da vendere, scambiano come se fossero molto più sicuri di quelli italiani. Per adesso Tria continua il suo esercizio di equilibrismo tra i mercati, i politici italiani e i suoi interlocutori europei. Fino a quando, non lo sa neanche lui.