Non è un problema di risorse: ci sono 150 miliardi stanziati nel bilancio statale per i prossimi 15 anni e «già scontati dall’indebitamento netto: di questi 118 sono attivabili subito». È invece sempre più un problema di capacità di spendere: l’ultimo rapporto del governo dice che servono mediamente 15,7 anni per realizzare una grande infrastruttura di importo superiore ai 100 milioni. Il ministro dell’Economia, Giuseppe Tria, ha confermato ieri che il “cuore” e la priorità della sua politica per tirare fuori l’Italia dalle secche pericolose di questi mesi è far partire davvero gli investimenti dopo il crollo degli u ltimi dieci anni. Ha aggiunto – introducendo un seminario della Ragioneria generale dello Stato sul partenariato pubblico-privato (PPP) – che bisogna creare le condizioni per favorire la partecipazione dei capitali privati nella realizzazione e gestione di infrastrutture. «Il partenariato pubblico-privato – ha detto – può costituire uno strumento significativo di rilancio dell’economia e di attrazione dei capitali privati». Può aiutare a raggiungere il triplice obiettivo di migliorare l’efficienza dell’utilizzo dei fondi pubblici, selezionare le opere pubbliche con più alto tasso di rendimento, moltiplicare le opere che si possono portare fuori del bilancio pubblico. Proprio per questo ieri è stato presentato uno schema di contratto tipo per il PPP che sarà sottoposto a consultazione dopo l’estate e dovrebbe garantire un quadro di regole chiare per ridurre le aree di incertezza per i privati e contribuire a superare le obiezioni di Eurostat sul collocamento delle spese fuori dei bilanci pubblici.
Tria ha evitato qualunque riferimento alle polemiche dei giorni scorsisulla relazione tecnica del decreto lavoro e sul ruolo della Ragioneria generale, ma la sua partecipazione al seminario al fianco del ragioniere Daniele Franco è stato interpretato come ulteriore dimostrazione di fiducia totale verso la struttura e il suo vertice.
Tria ha fatto un riferimento anche all’ultimo monitoraggio sui tempi di esecuzione degli investimenti. Proprio ieri l’Agenzia per la coesione territoriale (al seminario era presente anche Maria Ludovica Agrò) ha pubblicato sul proprio sito l’aggiornamento del «Rapporto sui tempi di attuazione delle opere pubbliche» fatto quattro anni fa dall’Uver (ora Nuvec, Nucleo di verifica e controllo). Il monitoraggio ha riguardato 56mila interventi su tutto il territorio nazionale per un importo totale di 120 miliardi (quattro anni fa erano 35mila interventi per un importo di 100 miliardi).La fotografia segnala un peggioramento per le grandi opere di importo superiore a 100 milioni, da 14,7 a 15,7 anni. Poco cambia se si sceglie una soglia di 50 milioni per definire le grandi opere: si passa da 11,6 a 12,2 anni. Si accelerano invece i tempi di attuazione dei piccoli interventi di importo inferiore a 100mila euro: si passa da 2,9 a 2,6 anni. Che, in assoluto, non è che sia poco. La media di tutte le opere di qualunque dimensione – un dato poco significativo – resta intorno ai 4,4 anni.
Più interessante – ma anche qui il miglioramento non rimedia a una situazione generale drammatica – è il dato sui «tempi di attraversamento». È?un indice del peso della burocrazia sul settore perché i «tempi di attraversamento» sono quelli che passano fra un atto e l’altro, fra una procedura e l’altra. Il Rapporto registra una riduzione in questi quattro anni dal 61 al 54 per cento. La progettazione preliminare è sempre quello dove il peso di questi tempi è maggiore, il 69% contro il 75% di quattro anni fa, mentre la riduzione più forte è per le opere di importo inferiore a 5 milioni di euro. Quanto alla ripartizione territoriale, le Regioni con i tempi più lunghi sono Molise e Basilicata, con una media di 5,7 anni. Migliorano Sicilia (da 6,9 a 5,3 anni) e Umbria (da 4,9 a 4,3 anni) mentre il peggioramento più grave è proprio quello del Molise (da 4,9 a 5,7). Il Rapporto rileva poi – a proposito delle tipologie di stazioni appaltanti – che «cresce la differenza» tra la performance migliore (quella delle regioni) e quella peggiore (dei Comuni intermedi) da circa nove mesi a oltre 20 mesi. In generale si registra un peggioramento dei piccoli Comuni e delle Province e un miglioramento di Regioni e ministeri.