Non possiamo sapere se il pomeriggio di ieri sarà ricordato a lungo nelle cronache sindacali ma intanto è doveroso annotare quanto è successo. Prima i tre segretari generali di Cgil-Cisl-Uil sono stati ricevuti dal vicepremier Luigi Di Maio e a seguire si sono spostati di qualche centinaio di metri nel centro di Roma e hanno iniziato un secondo round con i vertici della Confindustria. Nell’Italia del delirio populista succede anche questo, che in un pomeriggio primaverile i bistrattatissimi sindacati confederali, considerati dai vincitori delle elezioni politiche alla stregua di dinosauri, hanno riconquistato una loro centralità. Tanto da dar vita a distanza di mezz’ora a una triangolazione anche se imperfetta, a una sorta di surrogato anni ‘10 della vecchia concertazione.
Dalle dirette Facebook siamo tornati agli incontri tra delegazioni che partoriscono, come accadeva una volta, una serie di successivi incontri di approfondimenti che vengono chiamati — guarda caso — «tavoli».
Non è certo una novità veniamo da stagioni in cui la politica era solita «vendere» più arredo dell’Ikea grazie alla moltiplicazione non dei pani e dei pesci ma proprio dei tavoli e delle sedie. Ma evidentemente il «cambiamento» si è dovuto in qualche maniera piegare, anche lessicalmente. Riparte dunque una stagione di confronto sindacati-governo che è figlia della mobilitazione del 9 febbraio perché la verità è semplice: se muovi le piazze alla fine i populisti sono costretti a rispettarti, terranno pure il conteggio minuzioso dei like e dei clic ma poi Rousseau si deve inchinare a Carmelo Barbagallo.
Ma — chiederete — dopo gli schemi socio-politici seguiranno finalmente i contenuti? I presupposti ci sono.
I tavoli discuteranno di problemi seri e reali di questo Paese (cantieri, pensioni, lavoro, salario minimo, rappresentanza) e possiamo solo sperare che il dialogo sia propedeutico all’individuazione di soluzioni. A questo punto saggeremo la virtù dei leader sindacali che obiettivamente hanno davanti a sé un’occasione pressoché unica. Per farla fruttare al meglio, nell’interesse loro e più in generale del sistema Paese, dovranno muoversi in maniera compatta e — come peraltro hanno dichiarato — saper alternare presenza ai tavoli e mobilitazione.
Se poi riuscissero anche a mettere in asse le proprie proposte con quelle di Confindustria, la revanche dei corpi intermedi sarebbe ancora più netta e potrebbe regalarci in questo complicatissimo 2019 una maggiore ragionevolezza di obiettivi e di intenti.