I colloqui tra le parti, benchè del tutto informali, non mancano. E c’è chi scommette che qualcosa possa prendere forma nei prossimi mesi, forse già entro maggio. Che il mercato si attenda una qualche aggregazione tra le banche nel 2020 è confermato anche dai risultati del sondaggio di Radiocor nella platea dell’Assiom Forex: secondo l’80% degli osservatori quello in corso sarà l’anno delle aggregazioni. Numeri netti che esprimono una convinzione diffusa, analoga a quella di chi ritiene (94%) che la sostenibilità determinerà un nuovo di modo di fare banca. Il sondaggio mette in evidenza anche come la maggioranza degli operatori (55%) veda un effetto positivo dei tassi bassi sull’economia italiana. E se, sul fronte internazionale, il 70% degli operatori ritiene che la Brexit cambierà l’assetto dei mercati finanziari italiani, sul versante dei conti pubblici, la maggioranza (79%) definisce il Mes, il cosiddetto fondo salva-Stati, una rete di protezione di ultima istanza per la nostra economia e solo per il 21% è un rischio.
Tornando al risiko, gli scenari sono diversi e riguardano le ex popolari, da Ubi a BancoBpm fino a Bper, ma anche Mps e tutti gli istituti del Sud, che potrebbero essere coinvolti nel progetto di salvataggio della Popolare di Bari.
Tra i rumors di ieri, uno dei più ricorrenti riguarda Bper e Ubi. Niente di ufficiale nè di ufficioso, per ora, con quest’ultima concentrata sui conti che presenterà domani e sul nuovo piano industriale in agenda per il 17 febbraio. Sta di fatto che, tra soci e addetti ai lavori c’è chi ragiona su un eventuale asse Brescia-Bergamo-Modena. Punto nodale, la valutazione del costo che porterebbe con sé. Un’aggregazione comporta del resto oneri di ristrutturazione one-off – dall’incentivo per esuberi a eventuali coperture per portare l’Npe ratio a livello richiesto da Bce – che potrebbero mettere sotto stress i numeri della nuova realtà rendendo meno conveniente il deal, fino a frenarlo del tutto. Ecco perché si ipotizzano anche soluzioni innovative che possano agevolare l’aggregazione minimizzandone eventuali costi, confidando anche nel pragmatismo della Vigilanza Bce: chissà che Francoforte non possa concedere uno sconto iniziale sulle richieste di capitale della nuova realtà, da colmare negli anni a fronte del raggiungimento di alcuni target.
«Sono molto attento a cogliere le considerazioni che anche la Bce ha fatto, recentemente, sul tema del consolidamento e mi sembra che ci siano delle condizioni diverse e più favorevoli rispetto al passato», dice l ’ad Bper, Alessandro Vandelli. Si vedrà. Di certo il contenimento del fabbisogno è tema di attenzione anche per i grandi soci delle due banche, in particolare in casa Ubi. Qui la nascita del nuovo Patto di consultazione di Ubi Banca (Car), che oggi controlla circa il 18% del capitale sociale, ha cambiato gli equilibri decisionali e indebolito il polo bresciano, cui invece oggi fa capo circa il 7,5% del capitale. Se il Car appare compatto, più frammentato sembra il fronte bresciano, un tempo anima più rappresentativa dell’azionariato e oggi invece alla ricerca di un’unità di intenti al suo interno e nei confronti dello stesso Car. «Dissi che» il consolidamento bancario «era scritto nella pietra – ha detto ieri l’ad di Ubi Banca, Victor Massiah – ma dissi anche che non sapevo quando. Continuo a non saperlo».