Ministro Toninelli sulla Tav Torino-Lione il vicepremier Salvini dice «si va avanti». Come si concilia con quanto sostenuto da lei negli ultimi giorni?
«Con il fatto che proprio Salvini conferma che serve un’analisi costi-benefici di questa opera. Ma al di là della posizione personale di Salvini, la domanda a cui dare risposta resta se la Tav è un’opera redditizia o meno. Tutte le stime e le previsioni, per esempio, si fondano su valori dei flussi di merci e di persone che definirei farlocchi, poiché diminuiscono anziché aumentare. Serve, quindi, un’analisi attualizzata per una valutazione più approfondita».
Tutto ciò vuol dire che il progetto potrebbe essere comunque realizzato, sebbene rivedendone caratteristiche, destinazione e connotazione?
«Significa che deve essere valutato e riformulato tutto, ma se per ripagare l’opera servono più di 50-60 anni, finendo con il mettere le mani nelle tasche degli italiani per finanziarla, è meglio bloccarla. Intanto, certo è che gli sprechi legati alle linee Tav sono sotto gli occhi di tutti e sono stati stigmatizzati dalla Corte dei conti Ue, secondo cui l’Italia spende il doppio per chilometro, in alcuni casi quasi il triplo, rispetto agli altri grandi Paesi Ue».
Ragionevolmente quanto sarà necessario attendere per sapere se la Tav si farà o meno?
«Stiamo avviando tutte le valutazioni relative al progetto, sarà un lavoro con vari stati di avanzamento, ma contiamo di chiudere entro le fine dell’anno».
Perché avete deciso di sostituire i vertici di Ferrovie?
«L’efficienza è nulla senza etica. E poi perché bisogna realmente spostare il focus sul trasporto regionale e dei pendolari».
A cosa si riferisce quando parla di etica?
«Il consiglio di amministrazione di Ferrovie avrebbe dovuto applicare la clausola etica e far decadere l’amministratore delegato, poiché rinviato a giudizio per truffa. Il non avere applicato quella clausola ci ha costretto ad adottare lo spoils system. Non discende da alcuna volontà di occupare poltrone».
Nel mirino è finita la fusione tra Anas e Ferrovie. Fare marcia indietro avrà effetti sui conti pubblici?
«Abbiamo svolto un’attenta analisi. Tutte le eventuali sinergie industriali possono essere realizzate ugualmente, mentre l’idea di mettere assieme chi si occupa di ferro e di strade appariva abbastanza bizzarra. Stiamo già valutando dove verrà ricollocata Anas all’esterno del perimetro pubblico, fermo restando che bloccare la fusione non comporta impegni di denaro».
Perché ha escluso ogni possibilità che Ferrovie sia quotata in Borsa?
«L’ipotesi di quotazione del gruppo Fs e poi delle Frecce risale a qualche anno fa, un’ipotesi di cui si parlò durante il governo Letta, salvo poi accantonarla. Ad ogni modo, le aziende pubbliche che danno redditività e profitti devono continuare a dare benefici all’intera collettività, se vanno bene e fanno utili non c’è motivo di privatizzarle».
Sul destino di Alitalia la sua indicazione è che il capitale sia in capo all’Italia per il 51%. Cosa vuol dire: in mano pubblica o privata?
«È presto per parlarne in dettaglio. Alitalia deve tornare a essere un vettore nazionale forte e connesso agli interessi del sistema Paese. In grado di difendere i propri lavoratori e di fare margini grazie soprattutto alle tratte più lunghe. L’obiettivo non è salvarla ma rilanciarla».
Con Alitalia si sono già cimentati lo Stato, i privati con i cosidetti capitani coraggiosi, un grande vettore come Etihad e, da ultimo, i commissari straordinari. Ma in Italia c’è qualcuno disposto a mettere dei soldi nella ex compagnia di bandiera?
«Stiamo valutando tutte le possibilità e stiamo trattando con tutti. Per ovvie ragioni non è possibile aggiungere altro».
Alle grandi opere e infrastrutture, lei predilige una rete di piccole opere diffuse, che servano realmente ai cittadini. Come si traduce tutto ciò in sviluppo, crescita, progresso e arricchimento di un Paese? In breve, cosa sarebbe oggi l’Italia senza l’Autostrada del Sole o senza l’alta velocità ferroviaria?
«Premetto che non sono assolutamente contrario alla grande opera in sé. L’ho detto più volte: al Paese servono tante grandi infrastrutture che siano davvero utili. Ma il nostro è un territorio che ha una prima, gravissima emergenza: la manutenzione ordinaria e straordinaria dell’esistente. Tanti piccoli interventi fanno una vera grande opera utile, penso soltanto agli investimenti degli enti locali. Peraltro, è dimostrato che il moltiplicatore occupazionale delle piccole opere diffuse è superiore a quello delle cattedrali nel deserto».
Osservatori e commentatori prefigurano che il varo della legge di Bilancio si tradurrà in una delusione per le attese dei vostri elettori, mettendo così a dura prova la tenuta del governo.
«Vedremo in dettaglio, quando avremo chiaro l’andamento dei conti con la nota di aggiornamento al Def. In ogni caso, il governo è consapevole che è necessario liberare risorse per consentire al Paese di risollevarsi davvero. Dunque, serve il Reddito di cittadinanza, servono sgravi fiscali alle imprese e un rilancio reale della spesa in conto capitale per far ripartire gli investimenti pubblici».