A Palazzo Chigi cominciano a circolare analisi allarmate. Si teme che presto il caso di Gianluca Savoini possa trasformarsi nel caso di Matteo Salvini. In parte è già così. Ma l’inquietudine lievita mentre col passare dei giorni il vicepremier e ministro dell’Interno cambia progressivamente posizione. Continua a sostenere, si osserva, di non avere nulla da spiegare né da cui difendersi. E intanto arretra. E sembra accettare, almeno in teoria, l’idea di presentarsi in Parlamento per rispondere sui contatti opachi tra lobbisti leghisti e faccendieri russi per una storia opaca di finanziamenti illeciti al Carroccio. D’altronde, la pressione del M5S e del premier Giuseppe Conte, oltre che delle opposizioni, è sempre più insistente.
La convinzione, nel governo, è che le rivelazioni siano appena cominciate; che del colloquio registrato tra il presidente dell’associazione Lombardia-Russia e i suoi interlocutori moscoviti possano esistere altri spezzoni; e che sia destinato a diventare una questione di sicurezza e interesse nazionali. La presenza del leghista Savoini al vertice bilaterale tra Salvini e il ministro dell’Interno russo, Vladimir Kolokoltsev, un anno fa a Mosca, è considerata una controprova. D’altronde, la magistratura milanese fa capire che le indagini saranno lunghe, laboriose, e proiettate fuori dai confini italiani. Per la Lega, il problema è difendere il suo uomo a Mosca e Claudio D’Amico, consigliere strategico di Salvini a Palazzo Chigi; e in parallelo evitare che gli sviluppi dell’inchiesta travolgano lo stesso vicepremier.
Per i Cinque Stelle è un’occasione unica per tentare di rifarsi contro la Lega che ha trionfato alle Europee a spese del Movimento. Ma devono stare attenti a evitare che il caso affossi il governo o trasformi Salvini in vittima. Il ministro dell’Interno sostiene che i rapporti nella maggioranza sono «ottimi»; che col premier Conte non esistono problemi. Verità politica: cioè da prendere con un cospicuo margine di scetticismo. L’impressione è che i rapporti siano pessimi. La riunione di lunedì di Salvini al Viminale con 43 sigle sindacali è stato vissuto come uno strappo e una provocazione. Il fatto che Salvini annunci altri incontri è sale su ferite freschissime. Dimostra, accusano a Palazzo Chigi, la volontà di riproporsi come premier-ombra.
Si parla di un Conte pronto a mandare una lettera al suo vice leghista per chiedergli di presentarsi, come titolare del Viminale, alla Commissione Antimafia a rispondere alle interrogazioni, dopo avere eluso per tre volte la convocazione: di questo si è lamentato con Conte il presidente grillino, Nicola Morra. Quanto all’incontro con le parti sociali, «siamo al burlesque», è stato il commento raccolto a Palazzo Chigi. La presenza nella delegazione dell’ex sottosegretario leghista Armando Siri, costretto alle dimissioni in quanto inquisito, è stato un altro elemento di sconcerto.
L’idea di avere il testo sulla flat tax da Siri, dopo averlo chiesto inutilmente per due settimane, per Conte è un affronto. Si parla di un Salvini superficiale e privo di misura. Ma resta pur sempre un alleato indispensabile, in cima ai sondaggi. E se dovesse comparire davanti al Parlamento a spiegare i rapporti tra Lega, Savoini e petrolieri russi, i Cinque Stelle lo difenderebbero: così, almeno, ha annunciato il suo omologo grillino, Luigi Di Maio. Sarebbero costretti a farlo, anche se nel M5S si vuole o si tende a credere che Savoini abbia agito su mandato del vertice. E questo è un problema, in un Movimento percorso da intermittenti fremiti di sdegno per il «contratto» con la Lega.
La demolizione politica o giudiziaria di Salvini significherebbe rischiare la crisi di un governo nel quale il peso del M5S è irripetibile. Dunque, il tentativo è di tenere distinti caso Savoini e sopravvivenza dell’esecutivo: nonostante la contraddizione stridente di un Movimento che demonizza Salvini ma rimane suo alleato. I sospetti su un «sovranismo» legato a filo doppio con la Russia acuisce l’isolamento di tutto il governo giallo-verde in Europa. Anche se Conte dialoga con le cancellerie. E i Cinque Stelle, con l’ennesima capriola, ieri hanno votato per la presidente tedesca della Commissione, Ursula von der Leyen, del Ppe, al contrario della Lega.
Il risultato è di mostrare una spaccatura vistosa nella maggioranza sulla strategia europea. «Questo complica la trattativa d’insieme per la scelta del nostro commissario», spiegano a Palazzo Chigi: lasciando capire che se le cose andranno male per l’Italia, Conte e il M5S sono già pronti a scaricare la responsabilità su Salvini. Ma il capo del Carroccio rivendica la strategia sovranista. Qualche sera fa, si è presentato a una cena privata su una terrazza romana indossando una maglia storica della nazionale di calcio dell’Ungheria: un regalo del presidente sovranista Viktor Orbán, del quale Salvini si sente la costola mediterranea.