Crescita zero è un’illusione statistica, ma è esattamente ciò che ha registrato l’Italia negli ultimi tre mesi del 2018 rispetto allo stesso periodo di un anno prima. È un’illusione perché è un dato «lordo»: espresso senza stimare l’invecchiamento di case, strade, ponti o macchine.
Crescere zero non significa dunque restare stabili ma scivolare indietro quasi senza accorgersene, perché qualunque bene non rinnovato si deteriora. Paradossalmente però il mercato ha accolto l’ultima infornata di dati dell’Istat, ora guidato da Gian Carlo Blangiardo, con un po’ sollievo. È come se gli investitori iniziassero a sperare che forse almeno per ora la situazione quantomeno non peggiorerà. I mercati hanno mostrato un brusco rimbalzo curiosamente subito prima — non subito dopo — la nota dell’istituto statistico ieri mattina: i rendimenti dei titoli di Stato sono scesi di sei punti (0,06%) e il principale indice di Borsa di Milano è salito di 0,6%. Il tutto, in entrambi i casi, esattamente fra le ore 9 e 42 e le 9 e 52. Fra i diciotto e gli otto minuti prima che l’Istat pubblicasse il suo consuntivo sull’economia italiana negli ultimi tre mesi dell’anno scorso, che fotografa un calo di 0,1% sui tre mesi precedenti e zero crescita «lorda» rispetto agli stessi tre mesi del 2017.
È possibile, magari probabile, che gli investitori reagissero in quel momento di ieri mattina alla pubblicazione alle ore 9 e 45 minuti dell’indice di fiducia del settore dei servizi. Un po’ a sorpresa quell’indice in febbraio ha mostrato un lieve rialzo un po’ ovunque nell’area euro, uno dei primi segnali rassicuranti dopo mesi di frenata. Il recupero si è visto anche per l’Italia. Ma i mercati non sono peggiorati neanche dopo le 10 di ieri mattina quando l’Istat ha reso ufficiali i suoi risultati definitivi. Anche qui c’è una lieve correzione, meno negativa rispetto alle attese: fra ottobre e dicembre l’economia italiana non si è contratta di 0,2%, come sembrava dalle prime stime, ma di 0,1%.
L’anatomia di questi numeri rivela perché l’Italia sia oggi in recessione. Sono lievemente cresciuti gli investimenti, i consumi delle famiglie e le esportazioni. Ciò che ha trascinato al ribasso tutto è stato il crollo delle scorte: le imprese hanno rallentato la produzione (lo si nota anche dal calo delle ore lavorate) e mirano a svuotare i magazzini. In un passato recente avevano prodotto più del necessario, pensando di poter vendere la propria merce, ma ora la psicologia degli imprenditori è cambiata. Dubitano di avere altrettanti clienti in futuro, dunque lasciano che il magazzino si svuoti senza accumulare scorte. Non è difficile leggere in questa scelta l’ansia e l’insicurezza dei produttori di fronte a un quadro politico che non offre una direzione di marcia e alla prospettiva di una dura manovra per stabilizzare i conti pubblici tra pochi mesi.
Così lo stress che si è trasmesso all’intero sistema con l’aumento del rischio-Italia sui mercati e pesa sulla produzione. Per ora la costanza delle famiglie tiene in piedi il Paese, perché i consumi sono in lieve aumento. Ma di recente proprio l’indice di fiducia delle famiglie è sceso ai minimi da oltre un anno. Se non si alza la nebbia dal quadro politico, è presto per dire che l’Italia sta uscendo dalla recessione.