Lvmh aggiunge un tassello al puzzle che ha costruito in Italia. Un puzzle fatto da marchi con storie, in alcuni casi, ultracentenarie; da sedi produttive e laboratori artigianali; da filiere di fornitori, uffici, showroom e, naturalmente, negozi. Ieri a Longarone (Belluno) Toni Belloni, direttore generale di Lvmh, il più grande gruppo del lusso al mondo, ha tagliato il nastro della manifattura Thélios, nata dalla joint venture del colosso francese con Marcolin, terzo player italiano dell’occhialeria. Accanto a Belloni c’era Giovanni Zoppas, ex ceo di Marcolin e ora alla guida di Thélios. «In Italia abbiamo 23 siti produttivi e diamo lavoro a 9.500 persone, il doppio rispetto a cinque anni fa – spiega Belloni –. Investire qui è strategico: sei delle nostre settanta maison sono italiane, ma sono molte di più quelle che, per alcune categorie, pelletteria in primis, producono in Italia».
Lvmh ha chiuso il primo trimestre con ricavi in crescita del 10% a 10,854 miliardi e nel giorno dell’annuncio, il 10 aprile, a Parigi il titolo ha guadagnato il 5% e superato i suoi massimi storici. A trainare i risultati è stata la divisione moda (+25%), la cui locomotiva è Louis Vuitton, maison che da sola, stimano gli analisti di Bloomberg, ha ricavi annui intorno ai 10 miliardi. Ed è proprio la divisione moda che da subito beneficerà della nascita di Thélios.
«I primi marchi sui quali abbiamo lavorato sono Céline, Loewe e Fred(maison di gioielleria nata in Francia nel 1936, ndr) – sottolinea Zoppas –. Oggi tagliamo il nastro, ma è da quando abbiamo siglato la joint venture, nel gennaio 2017, che lavoriamo sulla formazione della squadra. Sullo stile e sul ruolo delle collezioni eyewear create in Thélios avevamo idee chiare fin dall’inizio. Ma c’è di più: poter partire da zero nella costruzione della sede ci ha permesso di attingere alle tecnologie più avanzate e di raggiungere livelli record di sostenibilità ambientale e sociale: Thélios ha 245 dipendenti, cento dei quali in manifattura, in un luogo circondato di bellezze naturali, verso il quale sentiamo grandi responsabilità».
«L’eccellenza è quanto di più lontano esista dall’improvvisazione – aggiunge Belloni –. Lvmh ha standard altissimi, che si elevano senza sosta per tutti i prodotti e brand del portafoglio. Per gli occhiali è stato quindi naturale scegliere un partner italiano di un distretto famoso nel mondo e con una lunga esperienza di licenze con marchi globali del lusso». Nel 2017 il fatturato di Marcolin è salito del 6,4% a 470 milioni (si veda Il Sole 24 Ore del 9 aprile), con un export del 93%; il 90% dei ricavi è legato alle licenze, tra le quali spiccano Tom Ford, Zegna, Emilio Pucci, Diesel e Swarovski.
«Ho già detto che gli investimenti in Italia sono strategici. Aggiungo che sono anche una fonte di arricchimento personale. Specie per chi, come me, deve analizzare ogni giorno numeri e andamenti di Borsa – conclude Belloni –. In Thélios e nelle altre sedi di Lvmh in Italia si vive invece la magia dell’unione tra antichi saperi artigianali e tecnologia, tra rispetto e conoscenza della propria storia e capacità di rinnovarsi».
A proposito di numeri, previsioni di fatturato non ci sono. Un benchmark può essere Kering Eyewear, la divisione creata nel 2014 dall’altro colosso del lusso francese, che ha chiuso il 2017 con ricavi in salita del 25% a 15,5 miliardi (e del 27% nel 1° trimestre, si veda l’articolo in pagina). La sede di Kering Eyewear?In Veneto, ça va sans dire, con la produzione,a differenza di Thélios, non interna bensì affidata a un network di fornitori. In tre anni le vendite sono passate da zero ai 352 milioni del 2017. Lvmh ha chiuso il 2017 con un fatturato di 42,6 miliard: non è poi così difficile stimare il contributo che Thélios potrà dare.
«L’esperienza di Marcolin e ora di Thélios dimostra che il modello di business per l’eyewear di lusso non è più basato sulle royalties, ma su strategie di medio periodo strettamente legate all’identità e all’immagine di un marchio», conclude Zoppas.