Se non fosse per la necessaria manutenzione annuale, l’azienda non si fermerebbe neppure in agosto. Sicuramente non smettono di correre i pensieri e i progetti di Sergio Tamborini, l’amministratore delegato di Ratti. «Quando cammino la mente è più libera, rifletto anche sulla vita dell’azienda, su quello che abbiamo fatto nel primo semestre e sui tanti progetti per il futuro», spiega aggirandosi a passo sveltissimo nello stabilimento di Guanzate, in provincia di Como.
«Vogliamo essere sempre di più partner dei nostri clienti, che sono le aziende di moda e lusso e che ci riconoscono una leadership non solo nella seta, ma anche nell’ideazione e produzione di molti altri tessuti – spiega Tamborini –. Non si tratta unicamente di aiutarli nel processo creativo, dando loro accesso, ad esempio, ai nostri sterminati archivi. Vere e proprie caverne di Aladino per chi lavora o dirige un ufficio stile di un grande brand. Offriamo o ci impegniamo a dare soluzioni tecniche a nuovi progetti, considerati magari all’inizio troppo complessi o irrealizzabili. Per farlo abbiamo investito moltissimo in ricerca, rinnovo dei macchinari e capacità produttiva di qualità sempre migliore: nel 2016 abbiamo superato i 3 milioni, nel primo semestre abbiamo stanziato 1,1 milioni. Ma soprattutto abbiamo investito sulle persone e sulla costruzione di un legame sempre più forte con l’azienda e la sua filosofia». L’azienda è tra le più conosciute del distretto tessile comasco: fu fondata nel 1945 da Antonio Ratti, che in azienda ancora molti ricordano come imprenditore appassionato e illuminato, anche sul tema della sostenibilità sociale. Ante litteram, potremmo dire.
Da quando il gruppo Marzotto ha acquistato la Ratti, l’età media è scesa sensibilmente, l’alternanza scuola-lavoro è diventata un punto d’orgoglio e, cosa forse più importante, la sostenibilità ambientale e sociale si è trasformata in priorità, con progetti all’avanguardia degni di un grande gruppo internazionale, che quasi sorprendono per qualità e quantità dell’impegno da parte di un’azienda da circa 100 milioni di fatturato, con un export del 70%.
«Siamo uno dei maggiori produttori al mondo di molti tipi di tessuto:stampati, jacquard per abbigliamento, specifici per cravatte, camice, costumi da bagno, biancheria intima e arredamento – spiega Tamborini –. Ma produciamo e realizziamo anche accessori da uomo e donna come cravatte, sciarpe e foulard, utilizzando soprattutto seta. Abbiamo quindi tutte le competenze: partiamo dalla fase creativa di progettazione dei tessuti o dei capi fini e arriviamo alla nobilitazione: tessitura, tintura, stampa e finissaggio. Ecco perché tutti i grandi brand del lusso italiani e stranieri, francesi ma non soltanto, sono nostri clienti da decenni».
Nel 2016 Ratti ha venduto circa 4milioni di metri di tessuto e un milione di capi finiti: «Con questi numeri, l’impatto che abbiamo sull’ambiente non è da poco. Lo so io e lo sanno le oltre 700 persone che lavorano nei nostri tre stabilimenti. Il percorso di sostenibilità è iniziato nel 2011 e nel 2015 Ratti ha ottenuto importanti certificazioni: SA8000 (responsabilità sociale d’impresa), Iso14001 (sostenibilità ambientale) ed Oeko-Tex. «Nel 2017 pubblicheremo il primo Bilancio di sostenibilità e sarà il coronamento di un impegno che dura dal 2014: solo per l’acquisto di nuovi macchinari e l’introduzione di nuovi processi dal 2014 abbiamo investito 20 milioni – sottolinea l’ad di Ratti –. Abbiamo poi lavorato sull’efficienza energetica, idrica e sulla produzione di rifiuti, scendendo da 661 tonnellate alle 600 previste per il 2017».
I risultati di cui Tamborini sembra essere più fiero sono però quelli ottenuti insieme ai dipendenti, parte integrante del piano “Ratti for Responsibility”: grazie a video interpretati da persone che lavorano nei diversi reparti e che vengono poi condivisi da tutti, è aumentato l’utilizzo del car pooling, delle auto elettriche e ogni dipendente ha avuto informazioni su come risparmiare risorse nel suo lavoro quotidiano, dalla carta all’acqua, dalla plastica agli imballaggi. «In un anno con i risparmi di gas ed energia abbiamo tagliato le immissioni di CO2 nell’aria di 3.300 tonnellate – conclude Tamborini –. Ci vuole l’intera vita di 2.400 alberi per assorbirne tanta».
*Il Sole 24 Ore, 8 agosto 2017