Per iscriverti all’evento, clicca qui
Se ripenso al mio romanzo di formazione, al mio fare professione di operatore di comunità e di ricercatore agendo nel promuovere sviluppo locale, mai avrei detto di ritrovarmi, a cavallo del secolo e inoltrandomi nell’ipermodernità che avanza, con dei «salumieri proudhoniani» che sono ben altro dal sindacalismo rivoluzionario soreliano. A entrambi i filosofi francesi pare stessero stretti i panni della regolazione dall’alto, fosse questa incardinata dallo Stato più o meno illuminato, o dal capitalismo inteso come sistema di regolazione dei mercati. Così i salumieri erano rivoluzionari dal basso, per via mutualistico-cooperativo-federativa, mentre i proletari autoorganizzati in forma sindacale rappresentavano il vitalismo conflittuale senza mediazioni della forma partito.
Spero che Francesco Pugliese non si offenda per questa polarità ironica e dissacrante presa in prestito dall’altro secolo. Quello che ha visto il venire avanti il secolo lungo delle ideologie con tanto di scontro epocale tra hegeliani di destra ed hegeliani di sinistra, per poi temperarsi nel secolo breve postbellico sfociato nel secolo della globalizzazione. Nel quale sia i salumieri proudhoniani sia i sindacalisti soreliani si sono ritrovati situati nella «società dello spettacolo», per dirla con un altro filosofo francese, Guy Debord, secondo il quale «Lo spettacolo non vuole giungere a nient’altro che a se stesso».
Questo mi è venuto da pensare quando mi è stato proposto di accompagnare Conad nel Grande Viaggio Insieme italiano per promuovere e valorizzare il loro marketing di prossimità: «Persone oltre le cose». L’autoironia ci stava tutta. Non si trattava forse di accompagnare «bottegai» con i loro negozi che si facevano supermercati di area vasta, in competizione con gli ipermercati della Grande Distribuzione, i famosi non luoghi della sociologia di Marc Augé, con tanto di festa in piazza con le icone del nazional-popolare e della sua musica, a proposito di società dello spettacolo? Come l’autoironia sia diventata empatia di progetto e di racconto, come quella che mi era parsa un’operazione di marketing aziendale e territoriale si sia trasformata in un lavoro di inchiesta e ricerca-azione nel sociale e nelle economie locali, di questo tratta questo libro.
Percorso di ricerca-azione che ha fatto dello slogan «Persone oltre le cose» una narrazione di vite minuscole, una sorta di antropologia del quotidiano, sino a teorizzare che «Il supermercato non è un’isola», con tanto di presunzione di farne un piccolo saggio sui cambiamenti della società italiana vista «rasoterra» – dal banco del salumiere, mi verrebbe da dire.
Percorso che mi interroga ancora oggi anche per dialogare con i tanti che per capire hanno fissato lo sguardo verso la sharing economy, l’industria 4.0 e le smart city, mentre questo è un libro provinciale, sia nello snodarsi nella provincia italiana sia nei sussurri di un margine di composizione sociale e di territori che, al più, possono aspirare a diventare smart land. In quell’antico adagio braudeliano città/contado che si evolve oggi nella polarità smart city vs smart land, di cui spesso ci ricordiamo solo quando dobbiamo commentare risultati elettorali in America, in Europa e anche in Italia, in controtendenza al narcisismo delle élite che spettacolarizzano appunto sharing economy, industria 4.0 e smart city come unico destino.
Mi era chiaro che la natura del committente del Grande Viaggio Insieme non mi avrebbe portato a ragionare di grande impresa fordista, né della sua evoluzione in capitalismo delle reti, non essendo Conad né una grande impresa della manifattura né un big player dei servizi. Ma, più semplicemente, un consorzio nazionale di dettaglianti che si è fatto rete di territorio e di distribuzione. Quindi, per capire, più che al Gramsci di Americanismo e fordismo avrei dovuto guardare al Togliatti di «afferrare Proteo» quando nel primo dopoguerra ipotizzò su Rinascita – devo dire con successo – di incuneare il DNA della cooperazione nel timido formarsi di un ceto medio del commercio: dettaglianti dell’Italia in divenire. Quindi, più che andare per distretti produttivi o piattaforme manifatturiere, avrei percorso la mappa dei distretti commerciali. Con una variante in più: capire se la struttura cooperativa e mutualistica delle origini dei dettaglianti, allora minoranza della cetomedizzazione in divenire, colta dal saggio degli anni Ottanta di Paolo Sylos Labini sulle classi sociali, si sia evoluta sino ad affrontare oggi la sfida delle reti globali della grande distribuzione, con sullo sfondo il tema della digitalizzazione, dell’e-commerce e del modello Amazon.
In questo scenario che cosa rimane del mutualismo e della solidarietà? Del territorio e del radicamento territoriale delle sette cooperative che compongono Conad (Nordiconad, Conad Centro Nord, CIA, Conad del Tirreno, PAC2000, Conad Adriatico, Conad Sicilia)? Questioni non da poco nell’epoca della società competitiva, dell’individualismo proprietario e, a proposito dei territori, dei flussi che impattano nei luoghi, mutandoli antropologicamente, culturalmente, socialmente ed economicamente. Inutile girarci troppo intorno: in questo caso la globalizzazione è connaturata a una de-territorializzazione delle fasi più complesse del ciclo produttivo: l’ideazione, la progettazione, l’engineering, la commercializzazione dei prodotti. Tutte fasi che non è errato ricondurre al concetto di economia dei flussi, cioè a un tipo di economia plurilocalizzata, dove quindi non è più pertinente l’individuazione di un solo luogo per descrivere la complessità del ciclo di produzione.
I sistemi produttivi sono invece tanti quanti sono i luoghi nei quali sono inseriti. Possiamo così individuare: un sistema finanziario che si alimenta di informazioni e transazioni oscillanti sulle piazze di tutto il pianeta; un sistema di imprese transnazionali, per definizione plurilocalizzate e organizzate in network mondiali; un sistema delle informazioni che ha nelle reti telematiche e satellitari le autostrade del sapere che circola in tempo reale da un capo all’altro del pianeta; un sistema dei trasporti che grazie alla modernizzazione delle infrastrutture fisiche, all’intermodalità e allo snellimento delle norme che regolano la circolazione ha favorito la creazione di corridoi multimodali che attraversano il mondo in tutte le direzioni. Non meno importanti per intensità e impatto sui territori sono i flussi di persone, in particolare i flussi migratori, quelli della moltitudine migrante che non è più solo questione di un mercato del lavoro globale, ma esodo da guerre, desertificazione, carestie, fame… L’Italia ha metabolizzato il fenomeno con leggi e regole più giuslavoriste che di cittadinanza, incardinate nella figura dell’immigrato-lavoratore. Non tenendo conto del monito di Max
Frisch, grande scrittore svizzero, quando parlava degli immigrati italiani, spagnoli e portoghesi: «cercavamo braccia e sono arrivati uomini» – monito completamente disvelato dalla metamorfosi della figura del migrante in quella del profugo.
Quelli descritti sono solo alcuni dei flussi che mettono in relazione i luoghi trasferendo informazioni, denaro, persone, materie prime, prodotti e loro componenti. I flussi, però, non rimangono isolati tra loro, trasformano invece le economie e le società anche nei luoghi. I quali reagiscono nei modi più diversi: secondo strategie di adattamento, di reazione e di resistenza, in ogni caso mobilitando le risorse endogene secondo le loro disponibilità. L’economia dei flussi globali agisce, rispetto agli assetti consolidati nei territori e nelle società locali, come un potente fattore di decostruzione, che da una parte indebolisce i legami interni, mentre dall’altra rafforza il bisogno di apertura verso l’esterno.
Nell’epoca della Connectography di Parag Khanna, che disegna le mappe e le reti del prossimo futuro ordine mondiale anche nelle città-Stato, l’amministratore delegato di Conad Francesco Pugliese mi prospettava un remapping del locale, teorizzando la prossimità territoriale, il radicamento e il cooperare quali fattori economici e di competitività, disegnando percorsi territoriali in grado di mettersi in mezzo tra flussi e luoghi, tra commercio, distribuzione globale e Km0. Con un ulteriore ambizioso obiettivo, non da poco: fare comunità. Partendo da questo tema Pugliese mi aveva incontrato e ingaggiato a discuterne con Gad Lerner e Pupi Avati, il regista del «com’era la comunità» di tanti suoi film, ma anche degli spot di Conad che vanno oltre la nostalgia della comunità. Mi si chiedeva, per dirla con Zygmunt Bauman, di ricercare nella voglia di comunità o, per dirla con il filosofo Giorgio Agamben, nella «comunità che viene», e di dar senso, attraverso la ricerca-azione, a slogan come «Persone oltre le cose», andando «oltre» e cercando di fare soglia, come ci invita la filosofia di Roberto Esposito quando scrive «le persone sono definite soprattutto dal fatto di non essere cose e le cose dal fatto di non essere persone.
Tra le due pare non esserci nulla, né il suono delle parole né il tumulto dei corpi. Il mondo sembra niente altro che la faglia naturale attraverso la quale le persone acquisiscono o perdono le cose». Con l’ambizione di andare oltre, affermando che «Il supermercato non è un’isola», scavando nell’intreccio tra persone e comunità. Si trattava di andare oltre la rappresentazione di un desiderio di ciò che ci manca, di «ciò che non è più» e inoltrarsi nel «non ancora» della comunità oggi. Infatti mi fu chiesto di aggiungere al Grande Viaggio Insieme nazional-popolare un percorso di ricerca sulle tracce di comunità nei territori. Perché nelle comunità locali, nella prossimità delle reti corte, la voglia di comunità può essere facile icona per uno spot commerciale, ma per una prossimità che vuol tenere e competere partendo dal locale è un «non ancora» dove continuare a cercare per continuare a capire, nell’epoca della dissolvenza delle comunità che Jean-Luc Nancy definisce la «comunità inoperosa». Occorre continuare a cercare perché, a proposito di cooperazione e mutualismo, il senso di comunità non è uno spot ma una pratica, una visione necessaria sia per il fare impresa sia per essere prossimi al territorio. Cercare per capire che «comunità» è una parola antica come cooperazione, mutualismo, solidarietà, da usare con cura e delicatezza nell’ipermodernità.
Non sempre la voglia di comunità – o la comunità inoperosa – è buona in sé. Il locale, i luoghi attraversati dai flussi spesso tendono a produrre rinserramento e chiusura che prendono corpo in comunità rancorose. Nel rancore, cooperazione, mutualismo e solidarietà diventano inoperose, lasciando spazio a un’operosità rinserrata in gated community delle élite, impermeabili ai flussi in alto e in basso, comunità chiuse dal localismo maligno dei tanti in preda alla paura di diventare ultimi che cercano il capro espiatorio quando la comunità si fa maledetta, alla ricerca dell’Heimat del sangue, del suolo e delle religioni.
Il Grande Viaggio Insieme attraversa un’Italia nell’epoca del rancore e diventava quindi importante per un gruppo come Conad cercare tracce di comunità di cura, là dove la solidarietà e il mutualismo si alimentano di un’identità che sta nella relazione con l’altro da sé. Diventava importante capire quanto la forma cooperativa fosse motore di una comunità operosa in relazione con le questioni sociali del territorio. La ricerca-azione sul territorio aggiungeva alla società dello spettacolo e del marketing territoriale del Grande Viaggio Insieme un momento interagente con e per i soci, interrogandoli sul loro fare impresa con una rivoluzione del punto di osservazione che passava dalla piazza spettacolare ai sottoscala della Caritas, alle comunità di cura che si occupavano degli ultimi, dei migranti, della società dello scarto della nostra epoca, che lo sguardo dei bottegai intercettava spesso nel fare la spesa e nel consumare di quelli che hanno difficoltà ad arrivare a fine mese. Insomma un percorso di ricerca-azione per rendere visibili gli invisibili, spesso non illuminati dai riflettori della società dello spettacolo.
Tessiture sociali. La comunità, l’impresa, il mutualismo, la solidarietà
di Aldo Bonomi e Francesco Bonomi
Egea
Pagine 234, euro 24,00