Il territorio è parola pesante che rimanda alla terra, al suolo e allo spazio di posizione degli attori sociali. È anche costruzione sociale e spazio di rappresentazione del legame tra spazio e politica. Puntualmente, al di là dei teorici dei flussi secondo cui saremmo nell’epoca della politica senza territorio, ritroviamo questa parola pesante che s’invola e s’incunea dentro le questioni politiche ed economiche facendosi geopolitica. Da mettere in agenda per le prossime elezioni europee: Brexit docet, fibrillazioni a ovest, a est e a sud nel Mediterraneo, con tanto di sindrome da invasione per 49 profughi in mezzo al mare. Si fa geoeconomia, riflessioni tardive sull’austerity, preoccupazioni su rallentamenti, stagnazione, recessione e diventa questione sociale con forme di luddismo dei territori del margine rispetto al centro sull’antico asse città/contado. Tema che ho evocato per i gilet gialli. Che induce a scomporre e ricomporre quella moltitudine gialla che ci appare indistinta senza più il sistema ordinatorio delle classi e delle rappresentanze sociopolitiche tradizionali.
Occorre colmare la faglia sempre più profonda che non solo nella società (Baricco), ma anche nei territori separa élite e popoli. Per capire oltre che alla geografia vale la pena di guardare come per il luddismo alla storia, scomodando la memoria tra passato e presente. Territorio è parola dura e antica sin dalle origini. Nell’Italia dei Comuni incorporava il legame stretto tra spazio e politica. Appare agli albori della modernità nel conflitto tra il riformatore Lutero, alleato dei Principi e i contadini di Thomas Muntzer nel formarsi conflittuale come ci insegna Max Weber dell’etica del capitalismo. Anche oggi tira aria da Riforma/Controriforma tra l’Europa del Gotico e quella del Barocco. Tra i sostenitori della kultur e quelli della civilisation nelle lunghe derive del moderno che si sono fatte conflitto tra flussi e luoghi. Mi scuso per le schematizzazioni storiche da Microcosmi, a cui ritorno, alla microfisica dei poteri. Partendo dal capitalismo delle reti ci appare il lungo elenco delle questioni territoriali volate in mezzo non solo al Contratto di governo, ma tra territori e politica: la Tap, la Tav, le trivelle, il Ponte di Genova, i piloni sequestrati della E45, la Napoli–Bari, i porti aperti alle merci e chiusi alle persone, le banche dei territori di nuovo in sofferenza…
Se poi guardiamo a questioni sociali come i lavori e il welfare con tanto di reddito di cittadinanza, vediamo le differenze a geometria variabile delle piattaforme territoriali in metamorfosi, chi verso il gotico e chi nel barocco prima tratteggiati. Il tutto poi vola più in alto incontrando il tema dell’autonomia relativa delle regioni rimettendosi in mezzo alle questioni istituzionali. Sullo sfondo l’Europa da cui siamo partiti e per cui voteremo. Vista dal basso, dai microcosmi in fibrillazione appare una difficile risalita a salmone verso la meta. A meno che in forma prepolitica la società, l’economia, le rappresentanze, le autonomie funzionali antiche della democrazia economica e moderne quali sono i nuovi nodi delle reti territoriali, non si mettano in mezzo tra territorio e politica. Da una parte temperando il narcisismo della élite dei flussi che legge il territorio solo come grumi di resistenza da disintermediare e sciogliere, in nome di valori astratti come competizione e competenza. Dall’altra temperando chi vede il territorio solo come uno spazio di rinserramento e di pura resistenza all’azione dei poteri verticali.
Facile a dirsi e difficile a farsi. Molto dipenderà dalla capacità di cogliere, riguardando in basso, le tracce deboli ma presenti, alimentate anche da “un ambientalismo riluttante” a cui si è giunti partendo dall’economia e dalla sua crisi, ritrovandosi a proposito di microcosmi, nella cappa inquinante della Pianura Padana del nuovo triangolo industriale. Se non si vuole guardare alla visione grande dell’Enciclica Laudato Si che ci rimanda al rapporto stretto tra territorio e terra. C’è da sperare che il territorio non sia più solo spazio del rinserramento o spazio piatto ove atterrare, ma anche spazio delle forme di convivenza a proposito di migrazioni, delle pluridentità in relazione di ciò che è pubblico e di germinazione di una nuova composizione sociale. Perché il territorio come questione politica non è più abitato solo da spaesati, stressati, orfani del fordismo o da ceti medi impauriti, ma anche da forme possibili del produrre, da ceti medi riflessivi dentro le dinamiche dei servizi e della metamorfosi dell’economia, che portano avanti domande di partecipazione con la voglia di mettersi in mezzo tra territorio e politica. Speriamo.