La singolare 48 ore del dialogo che ha visto i tre maggiori esponenti del governo incontrare per ben due volte le associazioni di impresa (Salvini e Di Maio) e una i sindacati (Conte) rappresenta sicuramente una novità positiva. Che il governo grazie a una veloce alfabetizzazione abbia finalmente preso atto dei problemi/richieste del sistema delle imprese non può che aiutare l’economia, suona caso mai singolare che in tutti i mesi precedenti quest’esercizio sia stato accuratamente evitato.
Appare inoltre sorprendente che nessuno dei tre leader di governo fosse al corrente del merito dello stato di sofferenza delle piccole imprese e per rendersene conto il lombardo Matteo Salvini, come narrano le cronache, abbia dovuto addirittura riempire pagine di appunti durante la riunione di domenica. Ma, chiose a parte, la novità è così significativa e soprattutto «strutturale» da evocare paragoni con la concertazione? La risposta non può che essere negativa: quale sia il giudizio maturato su quella stagione il confronto è impari. Non dimentichiamo come, nel bene, la triangolazione di politica dei redditi rese possibile grazie al cosiddetto patto Ciampi-Cofferati l’ingresso nell’eurozona. E nel male, invece, contribuì a causare quella che Amato ha successivamente definito come «la prima confusa manifestazione della crisi della democrazia redistributiva». Concretizzatasi in un’impennata dell’indice (Gini) che misura la disuguaglianza del reddito delle famiglie nettamente superiore a quella che avremmo conosciuto nella Grande Crisi 2008-15.
Più che ricorrere a paragoni improvvisati è meglio aggiornare l’analisi sulla relazione governo-parti sociali alla luce della novità populista. E verrà fuori che quelli di cui parliamo sono stati più «tavoli dell’ansia» che strumenti di concertazione. Il populismo, nella doppia versione leghista e grillina, si trova a suo agio in qualsiasi conflitto lo veda contrapposto all’alto. Siano le élite nazionali, le istituzioni Ue o le banche. Entra in sofferenza quanto la sfida viene dal basso. Abbiamo visto come i Cinque Stelle siano in costante difficoltà quando entrano nel mirino dei No Vax, No Tap, No Tav. Non possono permettere che altri si impadroniscano della primogenitura della protesta, la considerano una sottrazione di ragione sociale.
Qualcosa del genere riguarda anche Salvini. Fossero tutti Macron i suoi avversari andrebbe a nozze ma quando a scuotere la testa, ad andare in piazza o a riempire fiere o hangar è il ceto medio produttivo scatta l’ansia. E monta la preoccupazione che si apra una divaricazione tra le due Leghe, quella nuova a somiglianza lepenista e quella storica che ancora funziona come sindacato di territorio. I tavoli dell’ansia sono la risposta che entrambi i partiti populisti danno alla sfida che viene dal basso e la ricetta che emerge dalle cronache è una rincorsa a «comprare consenso». Qualsiasi cosa i presidenti delle Pmi avessero portato a quei tavoli sarebbe stata probabilmente fatta propria dai padroni di casa pur di combattere lo stress da contestazione. Fortunatamente molte rivendicazioni sono sensate e quindi i corpi intermedi un punto a favore l’hanno segnato.