Non è andato bene l’incontro di giovedì scorso a Bruxelles fra i tecnici della commissione Ue e quelli del ministero delle Infrastrutture italiano sulla Tav Torino-Lione. Nella delegazione europea è rimasta l’impressione di confusione nella posizione italiana e questo ha generato la preoccupazione che è poi stata resa pubblica nella giornata di venerdì dal portavoce della commissaria Violeta Bulc.
L’allarme è, in realtà, triplice: che l’Italia non rispetti la scadenza di fine anno per spendere i fondi assegnati alla Torino-Lione; che il governo italiano non esprima rapidamente, in caso di rinuncia alla Tav, un «piano B» su un utilizzo alternativo dei fondi Cef (Connecting Europe Facility, il programma di finanziamento a supporto dei corridoi infrastrutturali Ten-T); che i ritardi rispetto agli impegni assunti sulla Tav portino a una perdita di fondi Cef che sarebbero assorbiti dal bilancio comunitario.
Detto in altri termini, se Italia, Ue e Francia non si accordano per tempo su una richiesta di proroga termini (possibile fino a due anni) o su un uso alternativo dei fondi che andrebbero impegnati entro fine anno sulla Tav, il rischio è che il Cef (e quindi i progetti infrastrutturali) perdano fondi. Non meraviglia che la commissaria ai Trasporti sia preoccupata. A complicare il tutto, il fatto che la Torino-Lione sia già in ritardo rispetto alle previsioni di impegno e di spesa e trascini nel ritardo l’intero Cef che quest’anno dovrebbe registrare un picco di spesa a 1.977,3 milioni (si veda il grafico).
Da qui il pressing Ue che per ora non ha contorni chiari ma avrà un momento decisivo fra maggio e giugno quando sarà fatta la verifica annuale sullo stato di attuazione dei corridoi infrastrutturali e si avanzeranno eventuali proposte per spostare i fondi. Per allora le posizioni dovranno essere definite con atti formali.
Ma cosa rischia l’Italia e cosa prevede il Cef per il Corridoio mediterraneo Lisbona-Kiev? Per l’Italia il rischio è la revoca dei contributi sull’intero corridoio e comunque – in base all’articolo 2, punto 17 del Grant Agreement per la prima tranche dei finanziamenti alla Torino-Lione firmato il 25 novembre 2015 – l’esclusione per cinque anni dai fondi per «violazione dell’accordo». Stiamo parlando, in prima battuta, degli 813,8 milioni già concessi dal Cef alla Torino-Lione (di cui 120 erogati) cui si possono aggiungere gli altri fondi accordati a progetti partecipati dall’Italia sul corridoio: in tutto, come riporta l’ultimo report 2018 sul «Cef a supporto del Corridoio mediterraneo», 926 milioni. Oltre alla Torino-Lione, il documento segnala 4 milioni sulla sezione Milano-Brescia, 50,6 sulla Brescia-Venezia-Trieste, 52,9 sulla Milano-Cremona-Mantova, 5,6 sulla Cremona-Mantova-Venezia, mezzo milione per la Trieste-Divaca (Slovenia). Fra i progetti che potrebbero essere penalizzati, l’Alta velocità per l’aeroporto di Venezia (4 milioni), il Port Hub di Ravenna (37,4 milioni), l’interporto di Padova (4,6 milioni), la piattaforma multimodale di Vado (1,8 milioni), il sistema di navigazione del Nord Italia (9,3 milioni), il collegamento marittimo Venezia-Patrasso (1,7 milioni).
Intanto il ministero delle Infrastrutture ha seccamente smentito (parlando di «patacca» e «polpetta avvelenata») alcune cifre (2,4 miliardi di benefici per il progetto e quelle sui costi per il ripristino dei luoghi) attribuite da alcuni giornali alla nota del professore dissidente della task force sull’analisi costi-benefici, Pierluigi Coppola. La nota di Coppola parlava della necessità di apportare correzioni metodologiche, come considerare i soli costi attribuibili all’Italia e neutralizzare i costi dello Stato per minor gettito dalle accise. Queste indicazioni di correzioni – che eviterebbero distorsioni gravi dell’analisi ministeriale – non sono state smentite.