Alcune vicende raccontano molto meglio di altre i limiti di un settore tanto celebrato, a volte a sproposito, come quello dell’agroalimentare di un territorio ricchissimo come quello delle Venezie. Prendiamo ad esempio il Montasio o l’Asiago, due formaggi fino a poco tempo fa simbolo di questo territorio. Ebbene il Montasio, anziché crescere sui mercati internazionali come ci si poteva immaginare, è calato di 330.000 forme su poco più di un milione negli ultimi 14 anni. Una sorte analoga di caduta di status lo hanno avuto altre tipologie del lattiero caseario, a partire dal, un tempo mitico, formaggio Asiago.
E vogliamo parlare del vino? “All’unica manifestazione davvero internazionale, cioè quella promossa da Wine Spectator, la più prestigiosa rivista al mondo dedicata – ha raccontato Sando Boscaini presidente di Federvini e della Masi – le cantine venete presenti erano solo quattro, mentre le toscane e piemontesi erano decine. E queste quattro cantine rappresentavano solo ed esclusivamente una tipologia di prodotto, l’amarone, mentre non erano presenti il Prosecco o tanti altri vini veneti che meriterebbero di essere tra i primi posti al mondo”.
Eppure siamo una delle regioni che produce e vende di più in termini di quantità. Ma anche una delle regioni che che in termini di valore aggiunto incassa meno. Eclatante è il caso del Prosecco, dove i prezzi medi sono bassissimi è sempre più si avverte il rischio concreto che accada a questo distretto quanto è accaduto, per esempio, al distretto vicentino dell’oro. Il rischio cioè di arricchire tutti per quel po’ di anni nei quali il fenomeno traina chiunque, per poi declinare altrettanto rapidamente. A salvarsi sarebbero solo quelle poche aziende che hanno saputo costruirsi una reputazione è un brand riconoscibile.
Insomma, l’agroalimentare delle Venezie ha corso molto fino ad oggi, ma si trova di fronte alla sfida di misurarsi con una cultura d’impresa che deve giocare non più sulla quantità ma su qualità, brand, riconoscibilità, sostenibilità e legame con il territorio. Altrimenti rischia sia la marginalità nei confronti dei territori italiani, sia quella che garantisce la redditività e lo sviluppo delle aziende.
We-Food, che si è aperta venerdì, è l’occasione per incontrare imprenditori che questa cultura d’impresa l’hanno maturata e visitare aziende, grandi e piccole, che la sfida imprenditoriale l’hanno accettata. Vedremo in quanti, nei prossimi anni, sapranno vincerla.