Il colpo di scena arriva, non a caso, proprio nel giorno in cui la maggioranza trova un accordo di massima sulla legge elettorale. Quando infatti, ieri mattina, sembrava pronto il plico con 66 firme di altrettanti senatori da consegnare in Cassazione per richiedere un referendum confermativo sulla riforma che taglia di un terzo dei parlamentari, quattro di loro le hanno ritirate.
Sono esponenti di Voce Libera, la componente di Mara Carfagna, che spiegano come ormai il referendum sia solo uno strumento per andare al voto subito con la vecchia legge. Mentre esplode la rabbia di chi il referendum l’ha voluto, come la Fondazione Einaudi, o i senatori De Falco e Maggi («Bisogna dare agli italiani la possibilità di esprimersi»), tutto è ancora aperto. Sì perché, con la scadenza per le presentazione delle firme prevista per domenica (ma un appuntamento in Cassazione è già fissato oggi alle 15), sono in corso frenetici movimenti: pronti a fare marcia indietro sarebbero almeno 5 dei 7 senatori del Pd firmatari, ma a salvare il referendum potrebbe arrivare la Lega, finora fuori dalla partita come FdI: «Mancano 4 firme? Nessun problema, gliene mettiamo otto noi» dice Matteo Salvini. A sera, le voci davano nuove firme in arrivo: almeno 8-9, una da Leu, le altre da FI e Lega e «quota 72» raggiunta in attesa delle decisioni del Pd.
Che succede? Intanto che sempre ieri il presidente della commissione Affari costituzionali, il Pd Giuseppe Brescia, ha presentato il testo base della nuova legge elettorale: è un sistema che si ispira a quello tedesco, un proporzionale con sbarramento al 5%, che secondo il ministro Federico D’Incà, del M5S, è «un buon testo» per trovare convergenze. Almeno nella maggioranza, da dove arriva l’ok sia del Pd sia di Iv. Se per Leu la soglia è troppo alta, è però dall’opposizione che si levano le proteste. Per la Lega, con Calderoli, il «Brescellum» è in realtà «un Petellum», per FdI è «un ritorno alla palude della Prima Repubblica», e FI chiede «un mix di maggioritario e proporzionale».
Ed ecco l’incrocio col referendum: il Pd frena, al contrario la Lega invece potrebbe scendere in campo. Primo, per tenere in fibrillazione il governo sul voto anticipato. Secondo: se il referendum non sarà presentato, per ragioni tecniche è a forte rischio di ammissione dalla Consulta quello per l’abolizione della quota proporzionale che la stessa Lega ha presentato (si decide il 15, il governo non sarà parte). Al contrario, la legge proporzionale — se il referendum leghista fosse ammesso — si fermerebbe: per non andare contro lo spirito del referendum, il Rosatellum potrebbe essere modificato solo mantenendo, o aumentando, la quota maggioritaria.