Al momento non c’è alcuna trattativa fra il governo italiano e la Commissione europea sulla manovra economica. Il clima si è deteriorato. Ed una eventuale riapertura del dialogo è rinviata a dopo che la Commissione, mercoledì, avrà espresso il suo giudizio definitivo sul disegno di legge di Bilancio dell’Italia. La Commissione confermerà la bocciatura della manovra presentata dal governo Conte, ponendo così le premesse per l’avvio della «procedura d’infrazione» per violazione della regola del debito. Che tuttavia la Commissione dovrebbe formalmente proporre solo dopo che il disegno di legge di Bilancio sarà stato approvato (entro il 31 dicembre 2018) da Camera e Senato. Anche se non è escluso che mercoledì Bruxelles lanci un warning, un avvertimento cioè al nostro Paese, preannunciando appunto l’apertura a gennaio della procedura (c’è una riunione dell’Ecofin il 22 gennaio che potrebbe approvare la decisione) nel caso la manovra non cambi durante l’esame in Parlamento. C’è quindi ancora un mese per evitare che la situazione precipiti.
Ma quali concessioni potrebbe fare l’esecutivo Conte? Il vicepremier Di Maio, ieri nell’intervista al Corriere, ha prospettato «clausole di salvaguardia che mettano al riparo dallo sforamento del deficit» del 2,4% del Pil nel 2019 e ha ricordato i passi già fatti, con i documenti inviati al ministro dell’Economia, Giovanni Tria, a Bruxelles il 13 novembre: privatizzazioni del patrimonio pubblico del valore di un punto di Pil all’anno, circa 17 miliardi, il che farebbe scendere più rapidamente il debito pubblico che, sempre in rapporto al Pil, passerebbe così dal 131,2% del 2017 al 126% nel 2021. I collaboratori di Tria, confermano che il 2,4% è invalicabile e che per garantire questo tetto il monitoraggio sulla spesa sarà costante e su tutte le voci, compresi il reddito di cittadinanza e quota 100 sulle pensioni. Ma Bruxelles ritiene insufficienti questi passi perché è l’impianto stesso della manovra, secondo la Commissione, che non sta in piedi, poggiando su stime di crescita non credibili, ancora di più dopo i dati sul Pil tedesco che, nel terzo trimestre di quest’anno, è risultato in calo dello 0,2%, il primo dopo tre anni e mezzo di crescita.
Ma al di là della distanza tecnica che separa la posizione italiana da quella della Commissione, ce n’è una politica senza precedenti, che rischia di rendere impossibile il compromesso. Il clima è stato avvelenato dagli scambi di accuse tra Roma e Bruxelles, con attacchi da entrambe le parti, anche di tipo personale fra il presidente della Commissione, singoli commissari e i due vicepremier Salvini e Di Maio. E le offerte di dialogo degli ultimi giorni avanzate dall’Italia appaiono tardive. Come il tentativo del premier Conte di avocare a sé la trattativa, tanto che non si parla più dell’incontro con il presidente della Commissione Juncker, annunciato da Conte.
Mercoledì, dopo la conferma della bocciatura della manovra, la palla tornerà nella metà campo italiana e la squadra di governo dovrà decidere se mantenere la linea attuale andando così incontro alla procedura d’infrazione, negativa sotto tutti i punti di vista (rischio sui mercati; richiesta di manovra aggiuntiva da parte della Ue; pericolo di sanzioni) oppure se correggere la manovra, intervenendo in particolare sulle due misure che più allarmano Bruxelles, cioè il reddito di cittadinanza e quota 100 sulle pensioni, i cui provvedimenti di legge non sono stati ancora presentati dal governo.
Il ministro dell’Economia, Giovanni Tria, ha più volte detto che uno spread sui livelli attuali (300 punti base in più di interesse sui Btp rispetto ai Bund tedeschi) non è sostenibile a lungo. L’impressione è che dopo mercoledì sarà l’ora dei mediatori con Bruxelles: dallo stesso Tria al ministro degli Esteri Moavero (entrambi avrebbero voluto un deficit non oltre il 2%) al sottosegretario Giorgetti. Salvini e Di Maio permettendo.