È la legge di Bilancio, ma somiglia a un labirinto di linee rosse. Ciascuna demarca un santuario che non si può toccare neanche con un fiore. E tutte insieme creano qualcosa di più del «sentiero stretto» di cui parlava l’ex ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan. Fanno un dedalo: non sarà uno scherzo per il suo successore, Roberto Gualtieri, venirne fuori.
A fine mese il governo deve presentare lo scheletro del bilancio, quindi entro metà ottobre lo dovrà riempire di misure sulle tasse e la spesa. Per il momento Gualtieri sta facendo bene i conti su ciò che è possibile. Ma prima ancora che questi siano pronti intorno a lui tutti gli azionisti del governo stanno già segnando i confini delle loro zone sacre. Tutte interdizioni di principio, indifferenti al contesto. Non si può toccare l’Iva: tutti d’accordo su questo; nessuno però nota come su beni palesemente per famiglie disagiate come l’aragosta, il tartufo, le ostriche o gli hotel a sette stelle frequentati da sceicchi e oligarchi russi si applichi l’aliquota ridotta al 10%. Dunque moltissimi miliardi andranno trovati, per intero, altrove. Ma dove? Dai tagli di spesa (a proposito: il commissario ad hoc manca da quindici mesi) devono restare fuori sanità, enti locali e istruzione. Altra linea rossa. Significa escludere a priori il 64% delle uscite limabili. Sarà un miracolo risparmiare dal resto del bilancio 1 o 2 miliardi in un anno. Non si può smantellare neanche “quota 100”, la pensione a 62 anni, anche se alla lunga costerà decine di miliardi proprio mentre la popolazione in età da lavoro cala drammaticamente (qui si prospetta la prima sfida fra il nuovo gruppo di Matteo Renzi e il resto della maggioranza). Né ovviamente si rivede il reddito di cittadinanza e soprattutto non si discute la scelta strategica di fare un bilancio che sia accettabile per Bruxelles, cioè prudente.
Poi ci sono le linee rosse “positive”: ciò che va fatto assolutamente. Il taglio di tasse o contributi sul lavoro dipendente, per 4 o 5 miliardi. Nuovi incentivi agli investimenti delle imprese. E il ministro dell’Istruzione Lorenzo Fioramonti, dice, si dimette se non ci sono 3 miliardi per scuola e università. Quanto fa? Già solo bloccando gli aumenti dell’Iva il deficit sale verso il 3,1% del Pil (almeno): decisamente troppo per Bruxelles. Come minimo andrebbero trovati appunto 15 miliardi per riportarlo in linea, ma dalla lotta all’evasione nel 2020 ne verranno quattro o cinque se va bene. Senza neanche parlare dei tagli delle tasse e delle altre misure che costano. Il rischio è che questo viluppo di linee rosse, unito ai tempi stretti per produrre un bilancio e all’entità della manovra, produca alla fine una miscela esplosiva di aumenti di tasse. Forse è tempo che qualche linea diventi, almeno, un po’ rosé.