Un contratto sul contratto: dopo una lunga trattativa che si è prolungata nella notte tra martedì e mercoledì Cgil, Cisl e Uil e Confindustria hanno raggiunto l’accordo sui “Contenuti e indirizzi delle relazioni industriali e della contrattazione collettiva”. Si tratta di un’intesa programmatica che stabilisce i principi di base del modello contrattuale, dalla lotta al dumping alla declinazione del welfare aziendale alla definizione del salario di primo e secondo livello, fino all’alternanza scuola-lavoro.
L’intesa chiama in causa anche il Cnel perché effettui « un’attenta ricognizione dei soggetti» firmatari dei contratti collettivi nazionali di categoria per «accertarne l’effettiva rappresentatività » . « È un’analisi che avevamo già avviato sui contratti storici. — dice il presidente del Cnel, Tiziano Treu —. Quest’accordo è un’ulteriore conferma della necessità di una revisione e di una valutazione. Abbiamo censito quasi 900 contratti nazionali, dei quali circa un terzo di dubbia rappresentatività. Stiamo lavorando anche con l’Inps, che è già intervenuto in molti casi con delle sanzioni, quando i contributi previdenziali non sono conformi a quanto stabilito dai contratti veri».
Quando si parla di rappresentanza, ricorda la segretaria generale della Cisl Annamaria Furlan, non ci si riferisce solo ai sindacati dei lavoratori: « Estendere questo principio della misurazione della rappresentanza e della rappresentatività alle imprese è importantissimo. In questi anni abbiamo visto crescere in modo esponenziale il numero dei contratti firmati da sigle sindacali e datoriali che hanno una rappresentanza quanto meno incerta. In alcuni casi cambiano le giacchette gli stessi soggetti, che prima fanno i rappresentanti dei lavoratori e poi quelli delle imprese. Questo crea un grave dumping contrattuale che fa male al lavoro e alla qualità della produzione».
L’intesa compatta delle parti sociali a pochi giorni dal voto, rileva il giuslavorista Michele Tiraboschi, ha un peso politico significativo: «Le parti sociali manifestano la loro autonomia rispetto all’esito delle elezioni. Avrebbero potuto usare qualche opportunismo, aspettare la formazione del governo. E invece hanno deciso di dare un segnale forte». Per cui, e questa è una clausola discussa a lungo, e aggiunta nell’ultimissima stesura dell’accordo, sì all’efficacia generalizzata dei contratti collettivi di lavoro, e a una legge in materia di rappresentanza, purché gli accordi sindacali ne costituiscano il punto di partenza: si parla infatti di “recepimento”.
Una risposta alle proposte di reddito minimo e soprattutto di salario minimo: sindacati e imprese non sono contrari, ma ritengono che i salari e le tutele minime debbano essere quelli stabiliti dai contratti, da estendere a tutti i lavoratori della categoria. « È difficile dire se quest’accordo favorirà davvero l’aumento della produttività e dei salari, la palla passa ora alle categorie. — osserva Tiraboschi —. I salari bassi sono anche causa del disallineamento tra offerta e domanda di lavoro: se vuoi un esperto non puoi pagarlo come un impiegato. Nell’accordo si parla anche di welfare, di formazione professionale: ci sono segnali interessanti che vanno coltivati a livello politico e a livello territoriale».